Politica

Irak, l’Unione vuole le primarie anche sul ritiro

I partiti della Fed potrebbero accordarsi per far parlare in aula un unico «speaker»

Antonio Signorini

da Roma

Alla fine anche i Ds si sono convinti che è preferibile dare retta a Romano Prodi e non tirare troppo la corda con gli alleati della sinistra radicale. E che è meglio far partire l’effetto dissolvenza su quella che fino a lunedì consideravano una «prova di governo», cioè la presentazione di una mozione parlamentare per spiegare il «no» dell’Unione al rifinanziamento della missione dei militari italiani in Irak. La segreteria della Quercia si è riunita per decidere se insistere sul voto di un documento con la exit strategy dell’opposizione da presentare alle Camere ed è uscito un invito a «ricercare un approdo unitario».
L’intenzione rimane quella di presentare un documento, ma di che tipo - hanno spiegato i vertici del partito - lo deciderà Romano Prodi. Cioè l’autore del testo «adottato» dai partiti della Fed (Ds, Margherita, Sdi e Repubblicani europei); il leader della coalizione disposto a sacrificare il suo piano pur di non rompere con Rifondazione comunista, Comunisti italiani e Verdi. Scontato quindi che non si tratterà di un atto ufficiale del Parlamento da sottoporre al voto di deputati e parlamentari, ma di un documento politico firmato dai partiti della Fed. Perché - come ha ribato ieri il fedelissimo di Prodi Arturo Parisi - «nessuno ci obbliga a fare le nostre differenze trasformandole in contrapposizioni irrisolvibili». E poi, gli ha fatto eco il presidente dei deputati Ds Luciano Violante: «siamo uniti nel votare no al rifinanziamento della missione italiana e credo non sia il caso di distinguersi in Parlamento».
Domani, quando si tratterà di esprimersi sul rifinanziamento alla missione Antica Babilonia i quattro partiti della Fed potrebbero fare un’unica dichiarazione di voto. Oppure la scelta potrebbe cadere su un testo che ricalca un altro documento approvato da Prodi e dai segretari di tutta l’Unione l’11 luglio. Un minimo comune denominatore che può andare bene anche a ecologisti e comunisti.
Le uniche sorprese potrebbero arrivare dalla Margherita di Francesco Rutelli, intenzionata a tentare fino alla fine la carta di un documento parlamentare senza sottostare alla minaccia di una spaccatura da parte della sinistra. Quando ieri Prodi ha detto ai giornalisti che i nodi non sono stati ancora sciolti e che la soluzione verrà trovata solo oggi pensava alla posizione della maggioranza del suo partito. «Crediamo di debba votare un ordine del giorno. Lo concorderemo con Prodi e i Ds», ha ribadito ieri Paolo Gentiloni, braccio destro dell’ex sindaco di Roma. L’intenzione dei rutelliani è favorire l’emergere di una posizione comune di tutto l’Ulivo mentre - per uno dei paradossi della politica italiana - gli ulivisti sono più prudenti e non vogliono forzare i singoli membri dell’alleanza su un’unica strategie sull’Irak alternativa a quella del governo.
Secondo i prodiani la resa dei conti con la sinistra radicale è solo rinviata fino alle primarie per scegliere il candidato premier del centrosinistra. Lo ha spiegato Parisi e si è mostrato d’accordo anche Roberto Villetti dello Sdi: «chi uscirà vincente certo non detterà tutto il programma, ma avrà il potere di decidere come ricomporre eventuali divisioni».
Su questo metodo i partiti della sinistra radicale la pensano in modo diverso. Ieri esponenti di Prc, Pdci e Verdi si sono incontrati con le associazioni pacifiste e, invece di annunciare una mozione parlamentare per il ritiro immediato delle truppe come molti si aspettavano, hanno deciso la linea morbida rinunciando a presentare un proprio documento alle Camere. «Per noi - ha spiegato Paolo Centro del Sole che ride - il no al finanziamento della missione in Irak comporta implicitamente una scelta per il ritiro». E per il futuro, nessun monopolio di Prodi sulla politica estera.

A decidere la linea sull’Irak - ha ribadito Cento - dovrà essere il popolo della sinistra con una scheda da affiancare a quella dei candidati alle primarie.

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