Irak, la vittoria della democrazia ora è più vicina

Massimo Introvigne

L’uccisione di Al Zarqawi subito seguita dall’accordo fra i partiti irakeni per la scelta dei cruciali ministri dell'Interno e della Difesa, è la più importante vittoria nella guerra contro Al Qaida dopo la distruzione del regime dei talebani in Afghanistan. Offre anche una parte decisiva della risposta ai due grandi quesiti posti dopo l’11 settembre dai tre B - Bush, Blair e Berlusconi - al mondo islamico: è possibile coniugare islam e democrazia? Ed è possibile battere il terrorismo? Mentre i tre B sono - ciascuno per motivi diversi - meno forti di quanto non fossero nel 2001, oggi possono comunque festeggiare una duplice vittoria. Al Zarqawi era il capo di quella seconda generazione di Al Qaida - questo anche il titolo della sua autobiografia - che aveva ormai in mano tutta la fase operativa dell’internazionale del terrore, e si sentiva imprendibile e invincibile. L’accordo fra i partiti - che in Irak significa accordo fra le etnie e le religioni - sui ministeri cruciali dimostra che è possibile onorare il voto di milioni di irakeni che si sono recati alle urne rischiando i colpi di kalashnikov degli uomini dello stesso Al Zarqawi per chiedere un governo democratico e rappresentativo.
Una propaganda che nasce da varie fonti - una stampa europea tradizionalmente anti-americana, media arabi spesso legati da ambigui rapporti al terrorismo, giornali americani di sinistra che preparano l’attacco a Bush per le elezioni parlamentari di novembre - e che è ripresa in modo entusiastico dalla sinistra italiana ci racconta che il progetto dei tre B del Grande Medio Oriente e della promozione della democrazia nei Paesi islamici è fallito. L’islam - ci dicono - purtroppo è incompatibile con la democrazia e non resta che sostenere i dittatori delegando a loro la lotta ai terroristi. Ma questa propaganda è falsa. In Paesi che rappresentano un quarto dell’islam mondiale - la Turchia, la Malaysia, l’Indonesia - hanno vinto le elezioni partiti islamici conservatori ma democratici e ostili al terrorismo di Bin Laden.
Ma soprattutto l’uccisione di Al Zarqawi, che è stata possibile grazie alla collaborazione di centinaia di cittadini irakeni che odiano Al Qaida, e (lo sanno bene i militari italiani a Nassirya) forniscono informazioni a chi cerca di catturarne i militanti, stranieri venuti in Irak a pescare nel torbido, e la soluzione dell’intricata questione dei ministeri dimostrano che nello stesso Irak sono state costruite istituzioni democratiche, fragili ma appoggiate dalle massime autorità religiose e da percentuali di votanti entusiasti ostili al terrorismo e superiori al numero di italiani che ha votato nelle ultime amministrative. Contro la faziosa volontà di travisare i fatti di un sistema mediatico internazionale che detesta i progetti neo-conservatori, contro la decisione di Al Qaida di concentrare a Bagdad la potenza di fuoco che le rimane, contro il governo di Teheran che pesca nel torbido in Irak e ha cercato di impedire fino all’ultimo la formazione di un governo, il progetto originario di Bush, Blair e Berlusconi ha dimostrato di poter vincere. È troppo chiedere al governo Prodi di riconoscere che Berlusconi sull’Irak aveva, nella sostanza, ragione, anche se un’ammissione del genere corrisponderebbe alla semplice verità.

Ma è doveroso chiedergli di gestire questa giornata di vittoria con un minimo di intelligenza politica, tenendo conto dello straordinario successo conseguito in ogni ipotesi di tempi e modi per il ritorno a casa dei nostri militari.

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