I piani per bombardare lIran sono pronti. E questa volta ad affermarlo non è la solita fonte anonima, ma una delle più autorevoli di Washington: il generale David Petraeus, capo del Comando centrale Usa; un uomo prudente, avveduto, lungimirante. Al Pentagono lo chiamavano lintellettuale, per i suoi modi sofisticati e la raffinatezza del suo pensiero, ma da quando è riuscito a raddrizzare la missione americana in Irak, tutti lo guardano con rispetto. Bush lo adorava, Obama lo ha confermato e lo considera uno dei suoi consiglieri più fidati.
Quando Petraeus parla non è mai a caso: «Gli impianti nucleari iraniani possono essere certamente bombardati», ha dichiarato in unintervista alla Cnn. E ha aggiunto: «Saremmo irresponsabili se non avessimo messo a punto diversi scenari e più piani per fronteggiare tante possibili situazioni». Infine ha ricordato che «cè ancora tempo per la diplomazia».
Il governo di Teheran ha reagito subito definendo «sconsidarati i propositi di Petraeus», ma nel giro di qualche ora la polemica si è placata. I giornali iraniani, ormai tutti controllati dal regime degli ayatollah, non hanno alzato i toni e anche quelli americani non hanno dato molto spazio alla notizia. Quando questo accade significa che è mancato lo spin da parte dellAmministrazione Obama.
Per intenderci: nel passato annunci di questo tenore sono stati usati dal Pentagono per preparare lopinione pubblica interna a una possibile azione militare; a condizione però che venissero accompagnati da indiscrezioni e dritte anonime alle testate più influenti. Ma quando il «rumore mediatico» resta basso significa che il blitz non è in vista.
E allora come interpretare lannuncio di Petraeus? Possibile che per una volta abbia parlato a vanvera? No, la sua intervista va incrociata con unaltra notizia, apparsa sul sito Politico, secondo cui esisterebbero negoziati segreti tra Washington e Teheran, che sarebbero sul punto di sfociare in un accordo sul trattamento di combustibile nucleare. E ciò benché Obama ufficialmente sia intenzionato a imporre nuove sanzioni al regime iraniano, daccordo con i partner occidentali, come ha ricordato il neoministro degli Esteri della Ue Catherine Ashton, secondo la quale i governi europei sono orientati «a imporre qualche punizione agli iraniani per avere aggirato i controlli internazionali sul loro programma nucleare».
Luscita di Petraeus va letta, verosimilmente, in questo contesto. Lipotesi più probabile è che i negoziatori americani abbiano sentito il bisogno di lanciare un messaggio forte alla controparte iraniana per superare le sue ultime impuntature. Laltra possibilità è che il vero destinatario del messaggio non sia lIran, ma Israele, che, come noto, reclama da tempo un intervento definitivo da parte della comunità internazionale e che gli Usa in questo frangente intendono rassicurare.
La questione iraniana pare comunque in rapida evoluzione. Lo snodo è costituito dalle Guardie della Rivoluzione, il corpo militare più fedele alla Guida Suprema Ali Khamenei. Trecentomila pasdaran pronti a tutto. «Tra pochi giorni le Guardie svolgeranno imponenti esercitazioni militari nello stretto di Hormuz», ricorda al Giornale Gabriele Catania, direttore del Comitato per gli Studi Geopolitici e autore del bel saggio Petrolio Shock. La crisi energetica dalle guerre di Bush alla polveriera iraniana (Castelvecchi editore). Proprio lanno scorso in gennaio si verificò un incidente tra unità militari americane e battelli veloci iraniani, che solo per un soffio non sfociò in uno scontro armato.
«Gli americani hanno già fatto sapere che non tollereranno alcuna limitazione al traffico nello stretto, da dove transita quasi tutto il petrolio del Golfo, mentre è noto che Teheran in caso di un raid contro le centrali nucleari, farebbe scattare una ritorsione immediata proprio nello Stretto», aggiunge Catania.
Proprio le Guardie sarebbero direttamente colpite dalle nuove sanzioni prospettate da Obama.
Il puzzle iraniano si sta componendo e Petraeus di certo non ne è alloscuro.
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