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Iran al voto: riecco Rafsanjani

Oggi alle urne: dietro i tre candidati che sfidano l'attuale presidente ci sono gli interessi del potente ex capo di Stato. Un voto che può cambiare il Medio Oriente

Iran al voto: riecco Rafsanjani

Ha atteso per quattro anni, ma ora lo «squalo» è pronto a mordere di nuovo, a divorare il presidente pasdaran che quattro anni fa osò sconfiggerlo e umiliarlo. Lo chiamano il candidato invisibile, ma l'ex presidente Alì Akhbar Hashemi Rafsanjani è piuttosto il grande demiurgo. Grazie alle sue manovre oggi chiunque entrerà in cabina avrà a disposizione un voto e un candidato per affossare il candidato presidente Mahmoud Ahmadinejad.

Chi ama le riforme, ma sogna di far rinascere l'economia può scegliere Mir Hossein Mussavi, il premier che garantì il pane quotidiano durante i difficili anni della guerra a Saddam. Chi vuole l'innovazione nel segno della religione può sbarrare il nome del pacato ayatollah Mahdi Karroubi, un 72enne ex presidente del parlamento conosciuto come l'anello di congiunzione tra riformisti e conservatori. Chi invece si fida solo dei pasdaran ha a disposizione il 55enne generale Mohsen Rezai, il signore di guerre e intrighi che, guarda caso, guidò i guardiani della Rivoluzione durante tutti gli anni della presidenza di Rafsanjani.

Dietro la scelta di tirar fuori dal museo della politica un ex primo ministro anni Ottanta come il 67enne Mussavi e farne il simbolo di giovani e riformisti c'è lo Squalo. Dietro l'idea di trasformarne l'anziana moglie in una «Michelle Obama» iraniana capace di entusiasmare le folle grazie al suo piglio da professoressa e artista c'è sempre il potente Rafsanjani, amministratore occulto di una rete di 300 università private. Ahmadinejad voleva chiuderle e per magia sono diventate la prima linea della campagna contro di lui. Per prevenire brogli, che alle precedenti presidenziali fecero convergere i voti di militari e pasdaran sull'ancora sconosciuto Ahmadinejad, sono invece schierati migliaia di volontari di Kargozaran, il partito milizia di Rafsanjani mandato a vigilare sui più remoti seggi.

Ma in Iran, si sa, i voti pesano solo se c'è la volontà di farli contare. A garantire quell'olio benedetto ci pensa sempre il demiurgo invisibile. Grazie a lui anche l'astio anti-Ahmadinejad accumulato da navigati esponenti conservatori potrebbe per la prima volta costringere al ballottaggio un presidente della Repubblica Islamica. Ad indirizzare il voto dell'élite conservatrice, stufa del figlio di un fabbro trasformatosi in presidente del popolo, ci pensano il presidente del parlamento Alì Larijani, un ex negoziatore nucleare costretto alle dimissioni da Ahmadinejad e l'ex ministro degli esteri Ali Akbar Velayati. Sono tutti consiglieri influenti dell'ayatollah Ali Khamenei, tutta gente al lavoro da mesi per alimentare le perplessità della «suprema guida» su un presidente che sperimentando ricette economiche approssimative ha spinto alle stelle l'inflazione e distrutto il potere d'acquisto dei cittadini condannandoli alla disoccupazione.

Se i tre candidati cooptati dal grande demiurgo riusciranno oggi a precludere ad Ahmadinejad la soglia del 50%, spingendolo verso le sabbie mobili del ballottaggio, allora anche il grande protettore Ali Khamenei potrebbe decidere di non tendergli più la mano.

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