Cultura e Spettacoli

Irene Fornaciari: «Mi faccio strada da sola»

Davanti a 50mila persone (ma Zucchero non c’era) ha cantato anche One degli U2

Irene Fornaciari: «Mi faccio strada da sola»

da Milano

Figurarsi se c’era suo papà, ieri pomeriggio in quell’altoforno di piazza del Duomo, quando lei ha battezzato il Cornetto Free Music Festival. Trenta gradi, cinquantamila persone. «Rimane sempre nell’ombra», dice Irene Fornaciari, che alla professione di figlia di ha preferito quella della cantante e «guai a te se dici che sono raccomandata. Lui vuole che cresca da sola, se mi aiutasse certo che sarebbe molto più facile».
In effetti, tra tutte, lei ieri ha fatto le scelte più difficili. Con un gruppo di quattro musicisti (tradizionale quartetto: basso, chitarra, tastiere, batteria) ha cantato Hot stuff, che è una cover di Donna Summer, One capolavoro degli U2 «nella versione di Joe Cocker» e due brani originali, It’s a wonderful life e Don Uorri, «scritta così come si pronuncia, è la storia di un prete». Forse questa canzone divertissement è lo scotto pagato ai sei mesi trascorsi cantando in Dieci Comandamenti, il musical che l’anno scorso ha gironzolato per l’Italia con alterni successi. Alla prima di Milano sì che c’era, Zucchero, e quella sera gli scappò pure una bella paternale perché, insomma, una figlia d’arte che si rispetti non può essere così emozionata sul palco. Invece ieri. «Pensavo peggio ed è la prima volta che rispondo così perché di solito sono pessimista. Però ho visto il pubblico reagire bene alle nostre canzoni».
A ventun anni suonati, fidanzata con il cantante dei bravissimi metallari Labyrinth, Irene Fornaciari ha gironzolato un po’ per i piccoli club italiani, cantando e sperimentando quanto sia difficile salire sul palco trovando la platea piena di punti interrogativi: «La gente non sa che cosa aspettarsi e per un gruppo sconosciuto è difficilissimo. Inizi la canzone e poi non puoi fare altro che sperare bene».
Quando invece andava in scena nei Dieci comandamenti, era Miriam, la sorella di Mosè, e aveva iniziato «al buio», cioè con poche lezioni di canto alle spalle e solo «fiori di professionisti che mi danno una mano». Applausi, baci e abbracci. Però poi. «Ho capito che quello non è il mio mondo, io voglio il contatto con il pubblico». Difatti in ottobre pubblicherà il suo primo disco: «Lo stiamo registrando in questi mesi. È della musica che mi piace, il rhythm’n’blues sporco, anzi come lo chiamiamo noi, marcio. All’inizio volevamo uno stile come quello di Joss Stone, ma poi, provando e riprovando negli studi del Lunisiana Soul di Pontremoli, ci siamo allontanati. Io mi sento più vicina a Janis Joplin».
D’altronde questo, il blues sentito e patito sulla pelle, è il marchio di famiglia. «Solo oggi mio padre mi ha chiamato due volte.

Forse era addirittura più ansioso di me, ma non lo ammetterà mai, è il suo modo di essere con me».

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