Irlandesi, italiani, neri Dalla guerra per bande nasce la Grande Mela

Le mille luci di New York? Sì, ma anche le mille gang di New York, i mille bordelli di New York e i mille ghetti di New York. Nessuna città al mondo, infatti, ha avuto una crescita così vorticosa, multietnica e ricca di tensioni come la Grande Mela. Manhattan, la lunga isola in mezzo all’Hudson è stata, ben prima che Ellis Island si trasformasse in un inferno per emigranti, la meta di tutti coloro che sognavano un destino a stelle e strisce. Tant’è che già attorno al 1860 alcuni quartieri della città come il famigerato Five Points, sino a poco tempo prima un allegro sobborgo campestre, si erano trasformati in un calderone infernale dove il melting pot stava già arrivando ad un pericoloso punto di ebollizione. E non era la sola zona calda della città: la Bowery che ai primi dell’Ottocento era ancora un viottolo di campagna, diventò, nel giro di pochissimi anni, prima strada a pedaggio poi una zona di bordelli a buon prezzo, poi uno dei principali territori di scontro delle gang organizzate su base etnica. Già nel 1891 la sua fama sinistra era arrivata ad imporsi nei musical e nelle canzoni popolari.
Insomma la storia della più grande città degli Stati Uniti, della megalopoli per antonomasia, è sin dalle origini una storia radicata nel grande divario tra realtà e speranze, tra ricchezza e povertà, tra ricerca di una nuova patria e il persistente desiderio degli immigrati di ricavare delle enclavi, guerreggiando con gli autoctoni (magari arrivati solo una generazione prima). Per farsi idea di questa violenta «orogenesi» a cui si devono i grattacieli più alti del mondo il saggio migliore è quasi sicuramente C’era una volta New York. Storia e leggenda dei bassifondi di Luc Sante, appena tradotto in italiano per i tipi di Alet (pagg. 384, euro 19). Il volume, che sarà in libreria da oggi, è stato infatti utilizzato come base storica per Gangs of New York di Martin Scorsese e Sante - una delle penne di punta della New York Reviews of Books - è il consulente che ha aiutato nella ricostruzione delle locations e dei costumi. Il testo, a differenza di saggi più accademici, ha la capacità di far rivivere suoni colori e attitudini mentali di quella Manhattan selvaggia in cui la mattina si lavorava e la sera ci si dava la caccia addobbati con strani costumi e armati di mazze ferrate. Solo ogni tanto si lascia prendere un po’ la mano dalla leggenda (ma la memoria storica amplificata è pur sempre storia).
Una delle cose più interessanti del libro, che racconta 80 anni di vita e morte dei bassifondi newyorkesi, dal 1840 al 1919 ma concedendosi ampie digressioni in avanti e all’indietro, è proprio la ricostruzione della realtà e della leggenda relativa a quelle bande che si inseguivano ferocemente per le sale da bigliardo o per i vicoli dei casermoni popolari. Chiunque pensi alle gang come ad un fenomeno giovanilistico e recente nella Storia degli States, sfogliando le pagine di Sante si rende subito conto di essersi sbagliato. «La gang era l’elemento fondativo nella vita sociale dei maschi newyorkesi del XIX secolo... Bisogna ricordare che le gang non sempre erano bande criminali: erano sì violente, ma perché la lotta per il territorio faceva parte della vita di quartiere». Passare dal partecipare ad una squadra antincendio a un’incursione, con annesso pestaggio dei vicini di isolato ungheresi o italiani, era considerato del tutto naturale. La situazione aveva già preso questa piega alla fine del Settecento quando i Broadway Boys (bianchi) e i Long Bridge Bois (neri) se le davano di santa ragione con dei pesi di piombo collocati all’estremità di una cinghia. Il loro campo di battaglia era proprio quella zona paludosa che poi sarebbe diventata i Five Points. Poi nell’Ottocento arrivarono le fortissime bande di irlandesi come i Dead Rabbits nemici giurati dei Plug Uglies (un gang originaria di Baltimora e poi ramificata a New York). I primi avevano come simbolo un coniglio morto, i secondi portavano giganteschi cilindri imbottiti di lana per proteggersi la testa dalle bastonate. Quanto a mandare i neri verso Harlem ci pensarono gli italiani a colpi di rasoio.


Tutto questo prima che si accendessero le mille luci. Ma tutti coloro che immaginano il melting pot come una scampagnata e non come un fenomeno doloroso, anche se forse inevitabile, preferiscono ricordare solo i teatri di Broadway.

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