Islam, la Consulta è la via italiana all’integrazione

Massimo Introvigne

La presentazione da parte del ministro Pisanu di una Consulta per l’islam italiano, composta da singoli esponenti musulmani, alcuni dirigenti di associazioni ma scelti (o così si dice) a prescindere da «qualsiasi criterio di appartenenza e rappresentatività», è servita al ministro per rilanciare quella via italiana all’integrazione degli immigrati islamici cui si guarda con interesse in Europa dopo i problemi incontrati dai modelli concorrenti tedesco, francese e inglese.
La Germania considera gli immigrati musulmani come «lavoratori ospiti» e il loro trattamento si basa sull’idea che, un giorno o l'altro, torneranno a casa e hanno quindi bisogno di istituzioni ispirate al criterio della provvisorietà. La tesi è evidentemente superata: in Germania ci sono ormai musulmani di terza generazione, che non hanno alcuna intenzione di tornare in Turchia o in Marocco. La Gran Bretagna ha tratto dal suo passato coloniale l’idea della indirect rule. Come nelle colonie il governatore inglese si occupava della «grande» politica ma la gestione dell’ordine pubblico era delegata al maharajah o al capo-tribù locale, così nei quartieri musulmani molto era stato delegato a gruppi di notabili di cui la polizia dichiarava di fidarsi. Gli attentati di luglio sono stati l’ultima conferma che il modello non funziona più: alcuni di questi notabili erano essi stessi complici dei terroristi, nessuno di loro comunque era in grado di controllarli. Rimane il modello francese, che alterna carota (poca) e bastone (molto), chiedendo ai musulmani di dichiararsi cittadini rispettosi della laicité e rappresentati - volenti o nolenti - da un «Consiglio francese del culto musulmano» i cui membri sono nominati dal governo. Sia in occasione della legge sul velo sia dei recenti scontri nelle periferie ci si è accorti però che la capacità di questo Consiglio, in gran parte composto da musulmani moderati, di farsi ascoltare e rispettare dalla maggioranza degli islamici francesi è più o meno uguale a zero.
L’islam non è una Chiesa e non ha un clero. Si considera rappresentato da chi è accettato dalla comunità come dotto o come saggio, e il processo di selezione dell'autorità è molto complicato. In Europa non c’è carenza di associazioni che dichiarino di rappresentare i musulmani: al contrario, ce ne sono troppe. Le più grandi sono dominate dai fondamentalisti; quelle moderate sono piccole; e nei sondaggi la maggioranza dei musulmani, anche in Italia, afferma di non riconoscersi in nessuna associazione. Pisanu procede in modo diverso da Francia, Gran Bretagna e Germania. Rinuncia a inventare per decreto una inesistente e impossibile «Chiesa dell’islam» e vara un organismo «rigorosamente consultivo». Pisanu non aggira totalmente l’ostacolo costituito dalle associazioni, e susciterà certamente qualche riserva l’inclusione del presidente dell’Ucoii, l’organizzazione più grande ma anche la più storicamente legata al fondamentalismo internazionale dei Fratelli Musulmani e oggi al neo-fondamentalismo di Tariq Ramadan.

Se tuttavia l’organismo «consultivo» servirà a riaffermare che lo Stato nulla delega alle associazioni, pur accettando da musulmani che ne sono esponenti (e da altri che non lo sono) consigli da affidare poi all'indispensabile e sovrana mediazione della politica, allora la Consulta di Pisanu potrà far meglio dei suoi omologhi organismi che, in altre nazioni europee, hanno sostanzialmente fallito il loro compito.

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