Islam moderato: Arabia Saudita vero battistrada

Massimo Introvigne

Alla fine, in Medio Oriente è sempre decisivo il fattore S: l’Arabia Saudita, lo Stato più ricco, prestigioso e petrolifero. Ieri sono arrivati il «sì» al governo di Hamas e segnali di benevolenza all’Italia nonostante Calderoli: avranno il loro peso anche fuori dei confini sauditi. Nella capitale Riyadh per un soggiorno di studio, scopro che molte cose che si dicono non sono vere: la città è una sfilata di MacDonald, Starbucks, Versace, Armani, Zara. Certo, donne e ragazze sono tutte velate e non guidano, ma nei lussuosi centri commerciali comprano dischi di Britney Spears e perfino di Marilyn Manson mentre nella più grande libreria di Riyadh il commesso mi informa che in ordine di preferenza i minorenni acquistano Harry Potter e i libri tratti dalle serie televisive Streghe e Buffy la cacciatrice di vampiri, roba non solo vietata dai talebani afghani ma guardata male anche da qualche talebano di casa nostra. Restano vietati solo i Pokémon: un famoso predicatore ci ha visto elementi di propaganda ebraica. Scarseggiano i cinema, tranne quelli per bambini, ma in compenso in videocassetta si trova (quasi) tutto quello che si vende da noi.
I libri scritti intorno al 2000 secondo cui il regno stava per implodere perché calava il prezzo del petrolio sono finiti nei retrobottega. Il barile dopo l'11 settembre è schizzato alle stelle, ma il nuovo boom economico non ha fatto passare la paura agli economisti, che hanno guidato il paese nel WTO e imposto la differenziazione di un’economia dove oggi il petrolio conta solo per il 50%. La rapidissima trasformazione ha provocato - come altrove - una reazione religiosa: il «grande risveglio» (Sahwa), nato nelle università dall'incontro fra esponenti dei Fratelli Musulmani venuti come esuli dall'Egitto e religiosi «wahhabiti» (un’etichetta che indica l'islam puritano dominante nel Paese, ma che i sauditi non amano e andrebbe scomposta in varie tendenze) allarmati dalla modernizzazione.
Ma il Sahwa ha un centro, una destra e una sinistra. La sinistra ultra-fondamentalista che simpatizza per Bin Laden conta ancora qualche militante, ma la sua dirigenza è ormai tutta in prigione: potrà far scorrere altro sangue, ma sembra politicamente fuori gioco. La destra presenta un islam moderato che guarda alla Turchia e alla Giordania e ha chiesto il passaggio all'elezione del Parlamento (oggi di nomina regia) a suffragio universale, donne comprese, entro il decennio. La fissazione di scadenze precise non è piaciuta al nuovo re Abdullah, che ha fatto arrestare alcuni esponenti della «destra» cui pure in passato era apparso vicino. Resta un centro, che punta tutte le carte sul gradualismo del re. Questo centro ha vinto le elezioni del 2005 per metà dei consigli comunali (l'altra metà resta di nomina reale), e ha ottenuto una promessa informale (ma senza scadenze) secondo cui due terzi del Parlamento saranno eletti anche dai cittadini. Due leader di questa corrente che incontro a Riyadh, il deputato Khalil al-Khalil e un principe vicino al re, mi dicono che non disperano di fare includere fra gli elettori anche le donne. Tutto in Arabia si muove lentamente come il deserto: ma l'islam saudita non è monolitico, e qualcosa sta cambiando. «La questione centrale non riguarda l'Irak o l'Iran - mi dice il principe che mi ospita -: se l'islam moderato e la democrazia vinceranno in Arabia Saudita, vinceranno in tutto il mondo musulmano».

Purtroppo, rimane vero anche il contrario: per questo, i riformisti sauditi meritano più attenzione e più sostegno.

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