Con molto entusiasmo e una certa leggerezza, forse per sfuggire ad altri problemi, autorevoli giornali hanno già affidato un compito al nuovo presidente della Repubblica, anzi una «missione politico-istituzionale»: precisamente quella di spingere le forze politiche sulla via di un rinnovamento condiviso della Costituzione. Giorgio Napolitano dovrebbe essere il garante, e forse anche l'ispiratore di questo processo riformatore, in linea con il suo passato di riformista e con la sua passione per le questioni istituzionali.
Il fatto che al Quirinale sia stato eletto un politico attento e soprattutto competente di questioni istituzionali, mentre il sistema politico italiano procede a sbalzi, è sicuramente positivo. Ma assegnare al Capo dello Stato il ruolo di ispiratore delle riforme significa andare al di là dei limiti che gli consente quella Costituzione alla quale si appresta a giurare fedeltà. Sorprende che una stessa intenzione contestata a Massimo D'Alema venga ora considerata legittima per Napolitano.
In realtà non sarebbe stata legittima con D'Alema e non lo sarà con Napolitano perché il sistema costituzionale vigente non è presidenziale e quindi esclude che il Capo dello Stato possa essere eletto in base a, e possa avere, un proprio programma politico, perché di questo alla fine si tratta, e possa quindi essere autorizzato a spingere le forze politiche ad attuarlo poiché la «moral suasion» è qualcosa di diverso. Eppure Carlo Azeglio Ciampi, nel suo discorso di insediamento del 18 maggio 1999, aveva detto: «Nel mio giuramento, che è prima di tutto impegno solenne e incondizionato di osservare il dettato della Costituzione, c'è anche la consapevolezza dell'esigenza di un naturale sviluppo e aggiornamento istituzionale». Due anni dopo, ci fu la riforma del Titolo V della Costituzione, ad opera del centrosinistra, criticata dal centrodestra, che quattro anni e mezzo più tardi approvò la propria riforma, quella che sarà sottoposta a referendum a fine giugno, e che ha suscitato le critiche della sinistra.
L'una e l'altra riforma sono accusate di non essere bipartisan, condivise. Ecco allora profilarsi la terza via, quella di un input autorevole da parte del Quirinale, che andrebbe a sommarsi al riformismo già in atto da tempo ad opera della Corte Costituzionale. Ovvero: due organi che non hanno una diretta legittimità popolare, dovrebbero gestire la riforma della Costituzione, tirandosi dietro le più o meno riluttanti forze politiche - i partiti - che sono espressione diretta della volontà popolare. Risulta quindi chiaro il disegno di una riforma octroyée, concessa/ispirata dall'alto, che il Parlamento finirebbe per ricevere e ratificare, legittimandola di fronte ai cittadini.
Non discutiamo la necessità di cambiamenti costituzionali, assolutamente necessari, ed anzi troppo a lungo rinviati. Discutiamo il metodo che attribuisce un ruolo di iniziativa sostanziale, sebbene non formale, al Capo dello Stato, prescindendo ovviamente dalla persona del nuovo Presidente. Il discorso di insediamento di Giorgio Napolitano, previsto per lunedì prossimo, chiarirà il punto, ma non dovrebbe dare per scontato che a fine giugno la riforma approvata dalla Casa delle Libertà verrà bocciata dagli elettori. Sarebbe un'interferenza politica pesante, una scelta di parte.
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