Istantanee sulla fine dei grandi immortali

«Mosche d'inverno» è un libro che classifica i diversi tipi di morte: 271 personaggi che godono di una fama senza tempo vengono raccontati negli attimi culminanti della loro esistenza. Come se ne sono andati scrittori, pittori, condottieri, prostitute, filosofi e regine.

L'istante della fine in un micro racconto. Quando la storia comincia dal fondo e nel fondo finisce. Gli ultimi istanti. I palpiti finali. Istantanee che allontanano l'accusa di necrofilia. Perché parlare di «Mosche d'inverno» (Sellerio, pp. 251, euro 13) è un rischio. Quello di ritrovarsi sulla testa l'imputazione di chi fruga nella morte. Perché di fatto questo è il frutto del lavoro di Eugenio Baroncelli che ha raccontato con abili, garbate e delicate pennellate i modi in cui sono passati a miglior vita 271 protagonisti della storia, della mente, della cultura, della memoria culturale personale e collettiva. Pittori, scrittori, politici, condottieri, imperatori, consigliori, puttane, filosofi, regine e perfino papi.
Perché poi in verità nessuno lo dice ma tutti si chiedono come sono morti i più grandi. Forse perché la fama regala l'immortalità. Forse perché Hemingway, ancora vivo nella nostra memoria, non sembra mai morto nemmeno nella realtà. Forse perché Van Gogh non c'è più perché è vissuto troppo tempo fa. Forse perché Yukio Mishima era un superuomo. E i superuomini non muoiono mai. Eppure tutti questi signori hanno lasciato questo mondo e per ognuno la sorte si è rivelata diversa. Il racconto di questi addii è così diventato un libro che si lascia leggere, o meglio consultare, con uno sguardo di tanto in tanto. Brevi ritratti che suggellano la fine di vite impossibili, di sofferenze regalate dal destino in cambio dell'immortalità. Quella sorta di pena del contrappasso pur di essere ricordati in eterno.
E Baroncelli, senza scendere nel noir, senza inventare sciocchezze, senza indulgere al gusto granguignolesco, racconta la fine dei grandi della terra. Coloro che se ne sono andati per anzianità, al termine di una vita lunga come il Carducci mangiapreti che, nella sua ultima ora, si ritrovò il sacerdote travestito da barbiere pur di dargli i sacramenti. Lui che scrisse un «Inno a Satana». O coloro che hanno scelto spontaneamente di lasciare questa valle di lacrime. Come lo scrittore giapponese Yukio Mishima che si uccise alla maniera dei samurai. Con il seppuku. Un spada nel ventre e un complice che, con scimitarra, gli ha staccato la testa. Aveva 45 anni. Progettò tutto nei dettagli. Giorno, età, perfino la diretta televisiva di quello «spettacolo» sconvolgente. O coloro che sono stati sepolti dall'acqua, come Ippolito Nievo, affondato con i suoi segreti nel mar Tirreno sulla nave salpata da Palermo.

O i fumatori, come Giorgio Morandi. O i folli, come Dino Campana. E perfino gli insonni, come Paul Celan. La morte, insomma, racconta e si racconta. Perché, in fondo in fondo, anche la morte appartiene ai casi della vita.

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