Istituto di cultura italiano, un tuffo nella metafisica

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Si chiama «Buonincontri» la mostra che Duccio Trombadori ha curato all’Istituto di Cultura di Parigi (fino all’8 luglio), e che riunisce De Chirico, Ceroli, De Dominicis, Ontani, Patella, Scolari e Serafini. Il sottotitolo «Fratelli d’Italia. Viaggio nell’Italia contemporanea», scelto pensiamo con un velo d’ironia, si attaglia bene alla rassegna. Nonostante la diversità dei sette artisti, lontanissimi per generazione, formazione e ricerca espressiva, una sottile aria di famiglia si avverte nelle sale: una sorta di affinità impalpabile, che non è facile da spiegare e che Trombadori identifica con un’atmosfera, in senso lato, metafisica. Scrive infatti nel testo introduttivo: «Al di là delle soluzioni formali, gli artisti qui presentati sono uniti da un’affinità poetica che trova in De Chirico il suo interprete più originale e consapevole. \Il segreto della civiltà formale italiana consiste nella tradizione anti-naturalista... De Chirico non dà un canone, ma il decalogo di uno sguardo proiettato sul mondo e insieme staccato dal mondo...».
Di De Chirico è esposto tra l’altro un autoritratto degli anni Cinquanta: uno splendido brano di pittura, che fa capire quanto sarebbe necessario riconsiderare l’intera opera dell’artista, senza farlo morire negli anni Venti. Di Ceroli segnaliamo Le Talebane, tre figure in legno dipinto, chiuse nel burka come fantasmi. De Dominicis, scomparso troppo presto a cinquantun anni, poco prima che il secolo si chiudesse, è l’artista che più di ogni altro potrebbe ripetere, con De Chirico, «Pictor classicus sum», pur stando al centro di tutte le avanguardie. Peccato che il divieto assoluto di pubblicare le sue opere, imposto con ostinazione e qualche civetteria concettuale da lui stesso, non faciliti la conoscenza del suo lavoro. Ma lui replicherebbe che, tanto, la fotografia è un equivoco: si crede di vedere l’opera, e si vede qualcos’altro.
E ancora: Ontani presenta uno dei suoi tableaux-vivant ispirato a Napoleone; Scolari un ciclo di suggestive architetture, insieme sobrie e visionarie; Luigi Serafini una serie di affollate composizioni; Patella un felice intervento fotografico.

Completa la mostra un documentario di Marco Capuzzo Dolcetta che propone una lettura metaforica del celebre quadro di Böcklin, e che ha un titolo eloquente, Il club dell’Isola dei morti. Una metafora del ventesimo secolo.

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