Italia batte Germania. Sul gelato non c'è partita

Siamo diventati i primi produttori in Europa superando tedeschi e francesi. E il nuovo modello di business fa ricchi i bilanci delle gelaterie

Italia batte Germania. Sul gelato non c'è partita

Dolce per il palato, ma anche per il portafoglio. Il gelato tricolore ha conquistato la vetta d'Europa e nel 2016 con 595 milioni di litri l'Italia è diventata il primo produttore continentale di coni e coppette. Potrebbe sembrare un'ovvietà e invece non è così. Eurostat, l'istituto statistico che poche settimane fa ha certificato il primato della Penisola, ha riepilogato i dati degli ultimi anni: il nostro Paese è sempre arrivato secondo dopo la Germania e nel 2011 era addirittura terzo, superato anche dalla Francia. Ora i nostri rivali d'Oltralpe sono rimasti indietro e a distanza più che ragguardevole (i tedeschi con 515 milioni di litri e i francesi con 454).

CONI AL TOP

Oggi in Europa un gelato su cinque viene prodotto nel Belpaese e il modello di business è diventato una case history da studiare: il legame con il territorio e l'artigianalità della produzione hanno spinto i bilanci delle gelaterie verso l'alto e attirato l'attenzione dei colossi dell'alimentare. A successo si aggiunge successo: se nel caso del gelato siamo i primi, nel settore delle macchine per gelato siamo addirittura quasi monopolisti: la fetta di mercato mondiale dell'Italia è del 90 per cento. L'unico aspetto su cui facciamo ancora fatica sono le esportazioni, visto che il consumo è quasi tutto interno. Ma con l'ingresso in Italia dei colossi internazionali del food non è detto che anche questo non possa cambiare.

La prima posizione continentale non può comunque meravigliare: la corsa del gelato è iniziata oltre mille anni fa e se le origini sono ancora discusse (vedi anche il box a fianco), il ruolo dell'Italia è sempre stato di avanguardia. La strada parte dalla Sicilia, dove i primi sorbetti vennero chiamati Candieri, per arrivare fino alle Alpi passando per la Toscana di Caterina de' Medici. E proprio nel centro-nord del Paese oggi si concentrano la maggior parte dei laboratori artigiani: 6.093 nella sola Lombardia, secondo i dati della Camera di commercio. Nei territori sopra il Rubicone sono nati alcuni protagonisti della storia recente del gelato come Grom, marchio torinese recentemente passato sotto il controllo di Unilever, colosso anglo-olandese che già controlla nomi storici come Algida o Carte d'Or. Ma le catene note ormai sono decine come RivaReno, 18 punti vendita, La Romana, 35, o Crema & Cioccolato, 450. Ogni zona d'Italia ha la sua, con qualche dettaglio che la rende particolare, e la gara per stabilire quale sia la migliore ancora non ha trovato una risposta definitiva.

Il business si basa su 19mila tra gelaterie e centri di produzione (39mila se si contano bar e pasticcerie) e impiega 69mila persone per un giro d'affari che vale 1,4 miliardi di euro: ogni italiano consuma in media 16 chili di gelato all'anno, di cui solo 4 sono di prodotto industriale. Il resto è tutto artigianale. Una distanza non da poco visto che all'estero le proporzioni tendono a essere invertite: è l'ice cream all'americana ad andare per la maggiore, mentre in Italia i tempi in cui il Mottarello si affermava come primo gelato di massa sono lontani. Proprio la struttura artigianale fa sì però che il gelato italiano sia ancora debole all'estero: il valore delle esportazioni è inchiodato intorno ai 200 milioni di euro all'anno dal 2010.

ASPETTANDO L'AMERICA

Un tallone d'Achille per i maestri del gelato che solo di indotto creano un business da 250 milioni annui, ma che potrebbe presto evolversi in senso positivo: per l'anno in corso, si prevede una crescita dei consumi pari al 30 per cento per il solo mercato Usa. Per Grom, ad esempio, l'ingresso in un gruppo dalla potenza di fuoco di Unilever aveva proprio l'obiettivo di potenziare le reti distributive, sfruttando il potere negoziale di un colosso da oltre 50 miliardi di fatturato. Se infatti vendere gelato artigianale garantisce buoni margini di guadagno, intorno al 30 per cento (si spiega anche così il boom di punti vendita a controllo familiare), per compiere il salto di qualità è necessario appoggiarsi a strutture più grandi. Tanto più se si guarda a mercati che per il momento sono ancora per quasi tutti un sogno ma che hanno delle potenzialità enormi come la Cina.

Chi invece non sembra aver bisogno di fare un salto di qualità dimensionale è l'industria delle macchine del «gelato all'italiana». Le aziende sono riunite nell'Associazione nazionale costruttori macchine arredamenti attrezzature per gelato (ACOMAG). Carpigiani, Ldf-Longoni, Ifi, Cattabriga-Ali sono alcuni tra i gruppi con il fatturato più rilevante.

Negli ultimi anni hanno vissuto il boom del gelato artigianale e cercano nuove strade di crescita.

L'UNIVERSITÀ DELL'ICE CREAM

A dominare il settore dei macchinari professionali è la Carpigiani. L'azienda bolognese, nata ad Anzola dell'Emilia, produce da sola il 50% delle macchine per gelato di tutto il mondo, con un peso dell'export intorno all'85%. Oggi schiera in campo anche l'università del gelato: nella sede centrale di Bologna, nelle aule delle Filiali internazionali e dei Distributori di zona, oltre 30 esperti Docenti multilingue, tengono ogni anno, oltre 300 Corsi di Gelateria, Pasticceria, Cioccolateria, Comunicazione e Marketing, per quasi 7.000 persone.

Il trasferimento di know-how è stato un propulsore della diffusione nel mondo, dove oggi si contano 100mila gelaterie artigianali. Un mercato che potenzialmente ha margini ancora enormi. Anche perché molti tra gli studenti Carpigiani oggi sono stranieri: vengono a imparare quello che è un modello completo di business e non solo un sistema per produrre del cibo. E sono proprio i Paesi in via di sviluppo la maggiore promessa in termini di fatturato, anche se la Germania, principale sbocco commerciale per il gelato italiano, e gli Stati Uniti sembrano destinati a un nuovo boom, soprattutto per quanto riguarda la produzione artigianale.

LITE SULL'ARTIGIANALE

Proprio sulla parola «artigianale», però sono già scoppiate le polemiche. La gran parte delle catene, come fa per esempio Grom, distribuisce alle sue rivendite un semilavorato base che poi i singoli gelatai trasformano in vari gusti. È una strada che in molti casi ha reso il business vincente, ma che non piace ai talebani del gelato: per loro artigianale deve significare che tutto viene prodotto in negozio a partire da zucchero, uova e altri ingredienti base. La via tutta italiana del semilavorato, una sorta di industrializzazione dell'artigianato, sembra però piacere e oggi alcune catene offrono l'apertura di una gelateria in franchising con 5mila euro.

Un orrore per i puristi, una speranza per molti.

Quanto alla normativa in materia è ancora abbastanza carente e comunque stabilisce che è sufficiente appunto una lavorazione anche parziale in negozio per poter definire artigianale il gelato.

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