Cultura e Spettacoli

«In Italia c’è libertà di stampa»

Caro Costanzo, stasera si torna al Parioli...
«Sì, si torna al Parioli per diciotto serate che saranno la conclusione di un percorso durato 25 anni... Per la verità iniziai nel settembre dell’82, e ci furono degli stop... Ma viene meglio parlare di venticinquennale».
Come per le nozze d’argento. Ho detto «si torna» usando l’impersonale perché il Parioli è stato la vetrina dell’Italia interclassista, genialoide e un po’ folcloristica. Ci si riconosce?
«Mi riconosco perfettamente in quest’Italia. Il mio talk show non ha fatto che fotografare quello che è accaduto in un quarto di secolo».
Come si svilupperanno le diciotto serate?
«Per l’80 per cento saranno composte di cose già fatte. Stasera, per esempio, ricorderemo quando nell’89 il giudice Francesco Di Maggio parlò della presenza dei colletti bianchi nella criminalità organizzata. Lo commenteremo con il Procuratore Antimafia Piero Grasso. Con Alfonso Signorini e Enrico Vaime invece rivedremo la serata del 1998 con i tre tenori della tv, Vianello, Corrado e Mike nella quale Bongiorno rivolse un saluto che, rivisto oggi, appare profetico».
Non c’è un po’ di nostalgia e un po’ di ritualità in tutto questo?
«Ritualità non so. È soprattutto la voglia di far vedere, ora che tutti ne parlano, che, per esempio, nell’84 ci siamo gemellati con David Letterman in America. O che abbiamo fatto serate al Madison Square Garden di New York, a Mosca, a Parigi. Un programma andato in onda tutti i giorni per vent’anni, penso abbia diritto di ricordare alcune cose, prima di archiviarle».
Faccia una classifica dei personaggi da lei scoperti e lanciati.
«Nick Novecento, Melchiorre Gerbino, Vittorio Sgarbi, Enrico Brignano, Ricky Memphis, il giudice Di Maggio. Poi Enzo Iacchetti, Giobbe Covatta, Davide Riondino, Alessandro Bergonzoni...».
Tutti uomini. E le donne?
«Con gli uomini è più facile. Di donne comiche in Italia c’è solo la Littizzetto, ma non è passata da me».
Alfonso Signorini può essere il suo erede, trasferendo in tv lo show che già conduce su RadioMontecarlo?
«Il programma ha il mio nome nel titolo e non può che finire con me. Dopodiché trovo che Alfonso possa condurre benissimo i talk show».
Quello di RadioMontecarlo si chiama già col suo nome.
«Si fa così per evitare che te lo rubino».
Ha detto che per restare in Mediaset serviva un programma che piacesse a lei e all’editore...
«Mi avevano chiesto che cosa serviva perché rimanessi. Da anni dico che vorrei concludere il mio percorso professionale in Rai, dove l’ho iniziato. Sono stato molto bene in Mediaset, prima con Silvio e ora con Piersilvio, e adesso ci lasciamo con reciproca simpatia. Ma per l’editore per cui lavori devi rappresentare una urgenza, una necessità. Il mio contratto si conclude serenamente a dicembre, senza che sia interrotto da nessuna delle due parti».
Invece per la Rai, dal 2010, ha già un progetto che piace all’editore?
«Ho un progetto per alcune prime serate con me in video, ma anche un progetto come autore. La prima idea è andare in onda personalmente in una collocazione adeguata. Se non sarà possibile subito, si farà dopo qualche mese. Oltretutto non hanno ancora finito di nominare i direttori».
Quindi la rete sarà Raitre, dove non hanno nominato il direttore...
«Non lo so. È un’idea a basso costo, credo non adatta alla prima serata di Raiuno».
Prodotta da...
«Dalla Rai, non da mie società né dal Parioli. Forse dalla Magnolia di Giorgio Gori».
Dice spesso che il suo sogno è intervistare il Papa. Come ci sta provando?
«Alcuni anni fa stavo per ottenere un incontro con Wojtyla. Con Ratzinger lancerò qualche seme per vedere se riuscirò a incontrarlo e poi vedremo».
Tre momenti topici della sua carriera in Mediaset.
«La nascita del Maurizio Costanzo Show, che per la verità iniziò nella Rete4 di Mondadori, poi acquistata da Fininvest, e che, su Canale 5, divenne quotidiano. La nomina a direttore di Canale 5. La nomina a presidente di Mediatrade».
E il ritorno in tv dopo l’attentato?
«La mafia mi ha dato la patente di giornalista. La mafia compie delitti, io faccio il giornalista: uno contro l’altra».
Lei dice sempre che i reality hanno rovinato la tv. Ma Taricone e gli altri del Gieffe, sono stati spesso suoi ospiti a «Buona domenica»...
«Ho detto che i reality hanno indotto gli aspiranti concorrenti a taroccarsi, ad accentuare o inventarsi delle stranezze per essere scelti ai provini. Questo ha peggiorato la televisione perché ora i talk show non hanno più personaggi autenticamente eccentrici com’era, per esempio, il mio Melchiorre Gerbino. Così i talk show possono essere solo politici. Taricone l’ho avuto, ma nemmeno lui incarnava l’eccentricità che cercavo io».
Ha detto spesso che per andare in tv ci vorrebbe la patente. A chi la toglierebbe oggi?
«Non faccio nomi. Però, proprio di recente, Bonolis mi ha detto: sai che avevi ragione su quella storia della patente...».
E da chi sarebbe composta la giuria di esaminatori?
«Da capitani di lungo corso come Baudo, Vespa, Arbore, Boncompagni, anche Floris».
È vero che una volta presentò Angelo Guglielmi e gli uomini di Raitre a Fedele Confalonieri per proporli a Mediaset?
«Presentai Guglielmi a Berlusconi a una cena dopo i Telegatti. E un’altra volta portai Guglielmi e qualcun altro di Raitre, forse Balassone, da Confalonieri. Eravamo ai tempi del Telesogno. Si disse che ne avremmo riparlato, che ci si sarebbe rivisti. Tutto decadde».
Lei ha un grande avvenire dietro le spalle. Se dovesse richiamare in servizio un direttore fuori gioco, per la sua tv ideale chi sceglierebbe? Giorgio Gori, Angelo Guglielmi, Carlo Freccero, Agostino Saccà...
«Tutti e quattro ma soprattutto Guglielmi, anche per ragioni anagrafiche».
Di Mike Bongiorno che cosa mi dice?
«Ci avevo parlato quattro giorni prima che morisse. Era felice, una persona che ci ha insegnato l’entusiasmo».
I funerali di Stato non sono stati eccessivi?
«No, c’era un gran bisogno di condividere un dolore che scavalcasse le ideologie. E questo è il risultato di quello che può sembrare un apparente eccesso».
Santoro: il più fazioso o il più bravo giornalista della tv italiana. O tutt’e due?
«Santoro è Santoro. Come Sanremo».
Però lei preferisce Floris...
«Floris lo amo perché ha detto che gli è venuta l’idea di fare questo lavoro una sera quando aveva otto anni vedendo Bontà loro. Di Santoro mi piace anche la passione».
Floris è cresciuto in pochi anni, perché non è ancora nato un Floris di destra? Di chi è la colpa?
«Di chi non lo sa trovare».
Del centrodestra che non ne possiede il Dna?
«Forse sì, visto che non ho mai visto un esemplare del genere in giro».
In Italia la libertà d’informazione è minacciata?
«Macché minacciata. Piuttosto, molti giornalisti, me compreso, si autocensurano. La libertà bisogna conquistarsela: non si può dire che questo Paese manchi di libertà».
Da uomo di comunicazione che consiglio darebbe a Berlusconi?
«Di pensare qualche minuto prima di avere certe reazioni».
E di ritirare le querele ai giornali?
«Magari anche quello, se vuole».


Da uomo di televisione e non da marito, non è un po’ invidioso del successo di Maria De Filippi?
«Ne sono molto orgoglioso. È la prima volta, anzi la seconda, considerando l’attività di regista di mio figlio Saverio, che sono orgoglioso di qualcosa che non riguarda me».

Commenti