Politica

«In Italia c’è libertà» Strasburgo sbugiarda chi grida al regime

nostro inviato a Strasburgo

A cercare l’ultimo barlume di intesa, ci ha provato, proprio verso fine seduta, l’ungherese Jozsef Szajer: il deputato Ppe ha denunciato pesanti pressioni sulla stampa magiara da parte del ministro delle Finanze del governo socialista di Budapest, e chiesto di condannarle nella risoluzione messa a punto dalle sinistre. Per non ridurre il tutto a un attacco strumentale a Berlusconi e, ha aggiunto, «perché non vi siano due pesi e due misure a seconda di chi governa». Come sacerdoti farisei, a quel punto, si sono alzati in piedi i verdi (muniti di sciarpa turchese che è parsa un omaggio al giudice Mesiano), e poi via via i socialisti, l’estrema sinistra e i liberali. Un silenzio sull’attenti che stava a significare il respingimento dell’ipotesi. Anzi, un vecchio e secco niet come ai tempi dell’Urss.
Logico attendersi a quel punto che, dopo ben 24 voti da cui il centrodestra era uscito regolarmente battuto - con differenze che andavano dai 20 ai 50 voti - si perpetrasse l’affondo finale contro il Cavaliere e i suoi adepti. Riducendoli un colabrodo. E invece, a sorpresa, nell’ultimo scrutinio sulla risoluzione Alde-S&D-Gue-Verdi, spuntava una mazzata imprevista per la sinistra europea. Bocciata la richiesta di condanna dell’Italia: 686 i votanti, 335 i sì, 338 i no e 13 le astensioni. Si afflosciava come un castello di carte a un refolo di vento, il tentativo di trasformare l’aula alsaziana in una corte di giustizia. Niente condanne, nessun mandato a perseguire Roma, manco il «contentino» di un’indagine conoscitiva sulla proprietà dei mass media in Europa.
Livido il capogruppo liberale Verhofstadt che aveva voluto mettere la sua firma davanti a tutte quelle dell’Italia dei valori che si era fatta sotto da mesi con quella proposta. Sgomenti i socialisti. Annichiliti i verdi.
Nelle prime analisi sul perché, dopo la bocciatura dell’ordine del giorno dei popolari e di oltre una ventina di emendamenti tesi a depotenziare l’atto di accusa delle sinistre, trovava spazio la voce di accordi tra centrodestra ed euroscettici. «Avevano un’intesa da prima con chi non crede nell’Europa e con i razzisti», esplodeva l’ex numero uno della Cgil Cofferati. Più cauto il vicepresidente del Parlamento Pittella, anche lui Pd: «Forse la bocciatura dell’emendamento ungherese ha dato l’impressione che ci fosse della strumentalità anti-berlusconiana... ». Convinto invece di «pressioni da Roma in tutte le capitali» europee il capo dei dipietristi Rinaldi. Ma erano tutte parole che non spiegavano l’inattesa capriola, la certezza di vittoria trasformatasi in disfatta. «Si fosse ascoltato Napolitano non avremmo perso tanto tempo... », notava intanto Mario Mauro. Con al fianco Bonsignore che si diceva certo dei suoi conti e sosteneva che l’attacco delle sinistre al sistema italiano fosse costato all’Europarlamento «intorno ai 9 milioni di euro». Uscivano i tabulati e svelavano che 4 liberali non avevano votato il loro documento: 3 irlandesi e il dipietrista Iovine (il quale giurava di essersi sbagliato). All’appello mancavano poi anche un paio di portoghesi marxisti-leninisti che per alcuni avevano scelto il non voto piuttosto che cedere a un compromesso con altre forze sia pure di sinistra e che per altri avevano denunciato «la rottura delle loro macchine di voto». Ma i conti non tornavano lo stesso. Potenzialmente le sinistre contavano su 359 voti. Ne mancavano quasi una trentina. Mentre non tutti i non iscritti della destra avevano votato assieme ai popolari. Tra i quali ultimi - stando al solo campo italiano - mancavano oltre a Mastella, Cancian e Sartori oltre ai leghisti Salvini e Provera.
Resta così sul campo l’incognita del peso avuto tra i socialisti tedeschi e spagnoli il non gradimento di un’indagine a 360 gradi sulle proprietà dei mass media. Che del resto non era scontata - nonostante la mozione - visto che la commissaria Reading, due settimane fa a Bruxelles, aveva fatto capire che solo davanti a un voto bipartisan avrebbe sottoposto l’idea della commissione d’inchiesta a Barroso. Si chiude comunque il capitolo dell’attacco alla libertà di stampa che sarebbe stato perpetrato in Italia. Se ne compiace il Pdl con la sinistra che, ancora una volta, tenta di rovesciare il tavolo. Sassoli (Pd) ci tiene a notare come la risoluzione del Ppe sia stata affondata e come alcuni esponenti del centrodestra si siano associati comunque al centrosinistra, al contrario dei dipietristi che non hanno saputo garantire la disciplina di gruppi. Non ci sentono da quest’orecchio quelli dell’Italia dei valori tra cui la Borsellino quasi esulta per la sconfitta di misura. Ma anche questo è un vecchio gioco. In cui non cade quasi più nessuno.

E al quale, dall’altro fronte, si è pronti a replicare notando (Mauro, Angiolilli, Pallone, Gardini, Iacolino) che in tanti del Pd «hanno votato per disciplina facendo sapere di non essere affatto d’accordo».

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