È da qualche mese che gli ronza nella testa questa singolare tesi. Tutti (i media) contro Toni perché gioca all’estero e non gode perciò di protezioni mediatiche. Lo disse a Baden con una punta di veleno, appena le insoddisfacenti prestazioni sue durante l’europeo si trasformarono in censure aspre sui giornali. Per amor di patria, a quell’epoca in pericolo, e per non turbare i suoi rapporti col ct Donadoni, tralasciò un particolare, confessato solo ai più intimi: e cioè che le sue performances erano diretta conseguenza della solitudine patita tra Zurigo e Berna, in particolare a Vienna contro la Spagna, la sera dei quarti di finale. «Non gioco nell’Inter, nel Milan o nella Juve e allora si può sparare su Luca Toni» ripeté utilizzando quella terza persona che di solito, è sintomo di un ego smisurato. Ebbe torto marcio Toni sul primo appunto, ragione da vendere sul secondo appunto, quello legato all’assistenza della Nazionale nei suoi confronti: già fisicamente in debito, ebbe in dote pochi palloni, tutti difficili da giocare, e con i colleghi distanti.
Passato Donadoni, tornato al comando Lippi, riconquistata la maglia numero 9 e l’Italia, per Luca Toni i mal di pancia, non finiscono ancora. Anche perché accompagnati da uno 0 in condotta (0 gol all’europeo, zero gol tra Cipro e Udine) non esaltante. A Larnaca aveva qualche alibi: risultava complicato pretendere dalla sua condizione fisica una performance migliore. Ad agosto un infortunio muscolare gli impedì di giocare la prima della Bundesliga col Bayern e l’amichevole di Nizza contro l’Austria. A Udine no, non è andato così male: un mezzo rigore procurato, un paio di assist al bacio, qualche intesa collaudata prima di cedere il passo a Iaquinta. «Perché tutti quei fischi? Solo perché gioco all’estero?» la sua domanda che ha il sapore di una denuncia, legata alla vecchia teoria, sono senza la difesa dei giornali come se i 5 affibbiati a Pirlo, oppure a Del Piero che sono sacre icone di milanisti e juventini non debbano suggerire una visione meno provinciale della vicenda.
Piuttosto giocare all’estero, dai tempi di Zola al Chelsea fino a Coco nel Barcellona, non è un handicap. Anzi, per certi versi risulta un vantaggio: perché nelle cronache domestiche rimbalza l’eco delle imprese e non invece la tossicità delle critiche. E d’altro canto Toni non è l’unico della folta schiera di stranieri vestiti d’azzurro (Cannavaro, Grosso, Dossena, Barzagli, De Sanctis gli altri) e ciascuno incassa quel che si merita. Bastonate (nel caso di Barzagli) ed elogi pubblici (nel caso di Cannavaro la cui carriera scintillante orienta i giudizi). Zambrotta, appena sbarcato da Barcellona sulle sponde di Milanello, ne è una conferma solenne. Dovrebbe avere le spalle coperte e invece niente: tv e giornali lo hanno fatto nero segnalando anche, in qualche caso, l’errore commesso dal Milan nel riportarlo a casa.
Toni è un ragazzo di provincia, con nessuna esperienza di calcio metropolitano, vive beato in Baviera ed è cosa buona e giusta non infilarsi nelle questioni geo-politiche. Se può lamentarsi a ragione dei fischi, immeritati, di Udine, a suo modo dimostra di avere un nervo scoperto. Che si può riassumere con l’ultima dichiarazione resa da Marcello Lippi, ieri al rientro da Udine e dal 2 a 0 alla Georgia. «Ho parlato con Amauri, è un giocatore sicuramente molto forte, prima di prendere una decisione deve risolvere le questioni relative alla cittadinanza» la frase del ct.
Che anticipa l’arrivo nei ranghi del brasiliano. E a chi pensate che tolga il posto l’eventuale arruolamento in azzurro di Amauri? D’altro canto anche Gilardino sull’argomento - ve lo ricordate? - disse: «Bastiamo noi, io e Toni». Non si direbbe, al momento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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