Il dato più desolante del sondaggio sugli italiani e il 25 aprile è che oltre un quinto dei nostri connazionali non sappia neppure cosa si festeggi quel giorno. Possiamo anche sorridere alle risposte strampalate di chi tira a indovinare (la vittoria nella prima guerra mondiale... lo sbarco dei Mille...): poi, se il sondaggio ha ragione, rimane l'amarezza di un vuoto culturale che va ben oltre la preparazione scolastica. La scuola, di certo, ha le sue responsabilità, se non è riuscita a imprimere nella memoria una data - cioè un evento - che fa da spartiacque nella nostra storia recente. Per di più si tratta di una scuola dove - è polemica ricorrente - la storia della Resistenza riceve attenzioni particolari. E si badi che, anche fra i laureati, più di uno su dieci non ha idea di cosa si stia parlando. È un altro segnale, se ce ne fosse stato ancora bisogno, di un sistema scolastico capace più di produrre lauree e diplomi che conoscenza.
A parte la scuola, però, rimane da chiedersi in quale mondo vivono quei 21,5 italiani su cento che passano ignari e inconsapevoli - impermeabili - attraverso il bombardamento annuale di celebrazioni e polemiche in tv, alla radio, sui giornali, sui manifesti, nei cortei. Da notare che i dati sono piuttosto omogenei per sesso, classe di età e sociali, aree geografiche, professione, religiosità e - soprattutto - posizioni politiche: ha dato la risposta giusta l’80 per cento degli elettori di centrosinistra e il 77,2 per cento degli elettori di centrodestra (mentre sono appaiati gli elettori del Pdl e quelli del Pd). C'è dunque un quinto degli italiani indifferente non solo alla storia della nazione, ma alla sua vita sociale e politica.
Si tratta dunque di un quinto degli italiani indifferenti e insensibili a ogni evento che non li riguardi in prima persona, o che non tocchi le loro curiosità quotidiane. Questo dato è confermato dalle risposte alla seconda questione: più di un italiano su due non si accorge neppure delle polemiche che da anni accompagnano la festa della Liberazione. È un pessimo segnale per la nostra vita civile, comunque la si pensi sul 25 aprile. Dopo la desolazione, la sorpresa, sulla terza affermazione: «Io il 25 aprile non lo sento tanto come festa nazionale italiana». Una lieve maggioranza del 48,9 per cento (cui si aggiunge il 5,1 dei «non so») è d'accordo, contro il 46 per cento. Anche in questo caso le differenze sono poco significative per classi e categorie, mentre è davvero clamoroso che i dati di chi è d’accordo siano molto simili nelle «zone rosse» (46,5), nel triangolo industriale (45,1), nel meridione non toccato dalla guerra civile (51,9). La percentuale altissima su chi è d'accordo nella Sinistra Arcobaleno (42,5) e nel Pd (53,2) dimostrerebbe che il 25 aprile viene recepito come - perché è stato trasmesso come - una festa che divide invece di unire, festa di una parte piuttosto che di tutti.
Non a caso, paradossalmente, è fra gli appartenenti alla Destra storaciana che la sentirebbe di più come festa nazionale: subìta, per contrapposizione. Che non si tratti di una mancanza di patriottismo, è confermato dalle risposte alla quarta affermazione, «La festa del 2 giugno unisce gli italiani più del 25 aprile». È d’accordo il 53,5 per cento degli italiani che sanno di cosa si parla, mentre non è d’accordo il 41,5 per cento. Se si trattasse di un referendum su quale deve essere la festa nazionale, insomma, avrebbe vinto il 2 giugno.
Naturalmente si tratta di un sondaggio, aleatorio come tutti i sondaggi, ma è facile supporre che questa tendenza aumenterà di anno in anno, e non c’è da rammaricarsene: non significa affatto che gli italiani di oggi non siano contenti di essersi liberati del fascismo; anzi, la festa della Repubblica è anche la festa della
democrazia. Se vogliamo leggere il sondaggio guardando al futuro, piuttosto che al passato, la preoccupazione vera è e sarà - deve essere - un’altra: la scuola, la scuola, la scuola.www.giordanobrunoguerri.it
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