Di sicuro ce l’ha più lungo di Emanuele Filiberto, che per esteso fa Emanuele Umberto Reza Ciro René Maria Filiberto di Savoia. Settecentoquarantaquattro parole per dire la stessa cosa, cioè «lui» come lo chiamava Moravia, il sesso, l’inconscio, l’istinto. Il pene insomma, non fatevi sempre dire tutto. E cinquecentonovantancinque per dire «lei» i cui monologhi, i monologhi della vagina appunto, hanno conquistato Broadway, i salotti radical chic e un giorno sul calendario come Santa Rosalia, il «V-Day» che si celebra in ottantuno paesi con Rocco Siffredi santo patrono.
Tanto per cambiare parliamo di sesso. Perchè gli italiani, italians do it better, con il sesso sono imbattibili soprattutto a chiacchiere. Parola di Vito Tartamella, scrittore, caporedattore di «Focus», innamorato delle parole e massimo esperto italiano di parolacce, che si è messo lì a consultare il «Dizionario storico del lessico erotico» di Valter Boggione e Giovanni Casalegno, altri due fissati con quella cosa lì, che tiene conto di tutti, ma proprio tutti, i termini sessuali usati in otto secoli di letteratura italiana: dalle metafore alle allusioni, dai termini arcaici a quelli moderni, dagli eufemismi infantili alle definizioni scientifiche, fino alle espressioni più volgari tipo Italo Bocchino. Tartamella spiega per esempio che mentre gli eschimesi, più freddini di noi, usano più di 300 parole diverse per dire «neve», cioè ciò che hanno negli occhi tutto il giorno, gli italiani ne usano 3.163 per definire il sesso, cioè la cosa che hanno piantata nel cervello dalla mattina alla sera. Per avere un termine di paragone, si diverte a stupirci Tartamella, i primi canti della Divina Commedia di parole ne hanno 3.463 e neanche una boccaccesca, vista anche l’evidente rivalità tra i due padri della lingua. Esclusi i termini dialettali, infierisce, sennò si toccava quota quattromila.
A conti fatti, pure il numero è diventato maschilista, esistono 984 termini per indicare il sesso maschile e 766 per quello femminile. Glutei, omosex, a parte. Niente sul vocabolario ha più parole per definirsi del sesso maschile e secondo la Banca dati dell’italiano parlato è la parolaccia più usata e abusata. Lo descrivono come un oggetto domestico tipo bastone o manico, un’arma da guerra, clava, mazza, uno strumento musicale, piffero, clarinetto. O Walter, come l’ha ribattezzato Luciana Littizzetto, Walter Nudo forse.
Parole parole parole, si diceva. Perchè quando il gioco si fa duro i duri diventano molli. L’ultima indagine da spiaggia condotta da Doxa Pharma, la stessa degli anni scorsi, spiega che la cosa più eccitante che gli italiani sanno fare a letto è cambiare le federe. Tre su dieci sono pieni di ansie da prestazione, il 22% dice di sentirsi insicuro di fronte a donne sempre più esigenti, tre milioni funzionano poco o niente senza l’aiutino blu. D’estate peggio che mai. Perchè, come spiega il sessuologo Emmanuele A. Jannini, andrologo ed endocrinologo all’Università dell’Aquila, è vero che al sesso si pensa di più, ma c’è una ghiandola del nostro cervello, l’epifisi, che quando aumentano le ore di sole blocca la spinta sessuale. Aumenta la voglia, ma crolla la prestazione, l’estasi e il tormento.
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