«Gli italiani puntano sui fondi stranieri È colpa delle tasse»

Cammarano (Assogestioni): «Per rilanciare i prodotti nazionali occorre cambiare la fiscalità. Authority unica: è così in tutti i Paesi. Londra e Parigi gli esempi da seguire»

Massimo Restelli

da Milano

«Mutare la legislazione fiscale e snellire i processi autorizzativi», magari accentrando il lavoro in un’unica Authority. Il presidente di Assogestioni, Guido Cammarano, 68 anni, cerca la soluzione per arginare l’avanzata dei gruppi esteri nella Penisola (12,39 miliardi la raccolta netta a marzo di questi ultimi, rispetto a un’«industria italiana» in frenata per 12,9 miliardi). Un risultato schiacciante, anche se compensato dai cosiddetti fondi roundtrip (in pratica i prodotti che le Sgr nazionali hanno già trasferito Oltrefrontiera), che di recente è stato oggetto di riflessione anche da parte del governatore di Bankitalia, Mario Draghi, come dimostra l’attenzione riservata al mondo del risparmio gestito nelle Considerazioni finali.
«Abbiamo già perso due anni, l’attuale assetto fiscale nuoce ai fondi sia nella pianificazione dei guadagni sia sul lungo periodo perché riduce l’elasticità della gestione», riassume Cammarano, visto che i prodotti esteri sono tassati al momento del disinvestimento mentre per quelli italiani l’aliquota è applicata di giorno in giorno sul maturato.
A parte il fisco, come spiega l’avanzata delle Sgr estere?
«In Italia c’è la co-presenza di due Autorità di vigilanza che finora hanno svolto il proprio compito in modo “occhiuto”. Dopo i primi segnali della Consob, la relazione di Mario Draghi ha segnato però un distacco rispetto al passato con un approccio rivolto al mercato e non più solo alle garanzie amministrative. Utilizzo questo termine perché le Authority si sono preoccupate di fissare paletti di garanzia a priori, in un’ottica di stabilità del gestore. Uno sforzo condivisibile ma bisogna essere consci che il fondo è un prodotto finanziario e come tale ha un rischio».
Che cosa propone in concreto Assogestioni?
«Occorre mutare la legislazione fiscale e mantenere un approccio orientato al mercato: se ci sono proposte innovative è un errore rinviarle per timore dei pericoli. L’Italia era abituata a un modello finanziario riassumibile con “Tutto per la banca, con la banca e nella banca” ma questo sistema non funziona più. Un esempio: all’estero bastano 2/3 mesi per avviare una Sicav, a Roma ne occorrono dodici».
Come si può ovviare?
«Il sistema italiano non ha più senso. Mi auguro che Bankitalia appoggi le proposte avanzate da Assogestioni anche per diluire nel tempo l’effetto del pregresso. I fondi comuni, insieme ai fondi pensione, sono necessari per sviluppare il sistema e costituiscono una possibilità di investimento per le famiglie italiane».
Avete stimato l’impatto sulla finanza pubblica?
«Il punto è un altro: se tutti i fondi si trasferissero all’estero, lo Stato italiano non guadagnerebbe più nulla».
Quindi come dovrebbero muoversi Bankitalia e Consob?
«È necessaria una maggiore collaborazione: non è possibile dover replicare il processo autorizzativo. A volte non si comprende come sia in gioco la stessa sopravvivenza della piazza finanziaria milanese. Londra e Parigi sono già fortemente impegnate per preservare la propria centralità: sono esempi da seguire, dove la Vigilanza raccoglie gli umori degli istituzionali con l’obiettivo dello sviluppo. In Italia, invece, la preoccupazione principale è stata finora di non avere guai».
Auspica un’integrazione di competenze così da avere un unico referente?
«In tutti gli altri Paesi è così. Ci sembra ragionevole, ma se non si potrà fare occorre almeno semplificare le procedure».
E l’invito di Draghi a dividere produzione e distribuzione?
«È un problema da affrontare, tutti i grandi gruppi dovrebbero valutare cosa fare».
Come considera la strada seguita da Banca Intesa per la sgr Nextra?
«La soluzione non può essere cedere tutto agli stranieri. Come dimostra Unicredit, che con Pioneer ha fatto una scelta strategica, il risparmio gestito è un’industria profittevole. Poi ci possono essere alleanze o aggregazioni».
Eppure Mediobanca ritrae spesso un quadro dei fondi d’investimento caratterizzato da costi elevati e da performance non brillanti....
«I fondi sono cari ovunque. Ma è anche una conseguenza del sistema: l’80% delle commissioni sono assorbite dalle reti distributive e questo è un limite per lo stesso sviluppo dell’industria italiana».


Vista la necessità di semplificare, perché non integrare Assogestioni con Assoreti?
«Il problema è stato posto sul tavolo due anni fa, ma da parte di Assoreti non c’è stata alcuna apertura. Se questo atteggiamento cambierà, è una cosa che si potrà studiare».

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