Un italiano salvo per miracolo: «Per caso ho preso un altro treno»

Mentre i moscoviti deponevano mazzi di fiori sul luogo dell’attentato, ieri c’era qualcuno che piangeva di gioia per il pericolo scampato. Il «miracolato» è un italiano, Niccolò Monicelli, romano quarantenne che lavora a Mosca per una società di consulenza americana. Poteva essere sul treno che è esploso, ma non riusciva a dormire ed è uscito presto di casa stamattina. «Sono stato un po’ miracolato - racconta -. Prendo ogni mattina la metropolitana per andare in ufficio a Okhotny Riad, una fermata sulla linea rossa che è la più antica di Mosca. È la fermata dopo Lubianka in direzione di Park Kultury, che è due fermate dopo». Sono le due fermate dove si sono fatte esplodere le kamikaze. «Invece di prenderla come al solito verso le 8-8.15 l’ho presa alle 7.15 perché non riuscivo a dormire». Dopo aver cambiato con la linea blu è emerso in strada verso le 8.20. «Appena uscito ho visto che c’era la milizia ovunque. Arrivato in ufficio c’erano già le prime notizie che uscivano: due attentati sulla linea rossa. Io sono al 15° piano di uno dei palazzi più alti di Mosca e abbiamo tutta la città intorno». Così Monicelli descrive anche l’atmosfera quasi surreale che si respira nella capitale russa: la cosa incredibile è che «tutto il centro è sigillato: sembrerebbe una città normale, cioè non c’è il traffico caotico normale, che è un bruttissimo segno per Mosca». Eppure la capitale russa dopo il doppio attentato di ieri mattina è tornata quasi immediatamente alla normalità. «Sono stati mandati messaggi di non recarsi in centro questa mattina (ieri, ndr) e di assentarsi dal lavoro. Ma a differenza di altri episodi successi a Madrid o a Londra, qui tutte le linee della metropolitana sono operative.

Questi signori purtroppo sono abituati a vivere in uno stato di emergenza», spiega ancora Monicelli. E la popolazione nelle strade e negli uffici reagisce quasi con fatalismo. Sulla matrice degli attacchi, pochi dubbi a Mosca. «Qui si è ormai certi che siano i separatisti ceceni, che siano le vedove-nere».

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