Jamila è ritornata a scuola: negli occhi la voglia di libertà

È scortata da un codazzo di sicurezza che prevede parentado, simil-prefiche, sindacalisti e persino il console pakistano. Protezione altissima per sottrarla al contatto con i barbari occidentali, armati fino ai denti di telecamere e teleobiettivi. Jamila vorrebbe andare a scuola normalmente, con le sue amiche, come le sue amiche. Ma questo ritorno in aula non ha nulla di normale: è una conquista che gronda fatica e ribellione. Così, nella vittoria personale, ci sta tranquillamente una concessione alle tradizioni di famiglia: il velo. Dietro di lei, una parente è completamente coperta di nero, occultata alla realtà del mondo, secondo il comandamento dei suoi costumi. Jamila ha un velo bianco che la rende ancora più bella ed eterea, nemmeno l'avesse disegnato uno stilista di grido. E per quanto questo velo abbia anch'esso l'atavica funzione di muro sulla realtà, è una funzione miseramente fallita: dalla fessura di questo muro trapassa uno sguardo che parla più di tanti discorsi.
Che begli occhi, Jamila. Scuri e penetranti, intensi e giovani. Con questi occhi, il velo c'entra davvero poco: tuttalpiù, ha l'aria di un costume caratteristico, indossato una volta l'anno per i riti della tradizione. Qualcosa di antico e di simbolico, che ha un senso profondo solo nella memoria. Di oggi, di adesso, questo velo riesce solo ad esprimere le difficoltà e le resistenze di una faticosa integrazione. Portato da casa nella nuova destinazione, è l'ultima bandiera di una generazione che non riesce a voltare completamente pagina, a lasciarsi dietro rituali e regole di un altro mondo. Ma per quanto i vecchi resistano sulle posizioni, si intuisce che nel caso di Jamila il velo sia destinato a cadere, prima o poi.
Gli occhi di Jamila esprimono da soli l'idea più alta e più rassicurante dell'integrazione: restano unici e inconfondibili come solo gli occhi della sua terra riescono ad essere, ma qui assumono una carica e un'energia che sanno di modernità e di domani. Non sono gli occhi mesti e spenti dell'afflizione e della penitenza. Sono gli occhi vivaci della speranza e dell'intelligenza.
Io non so quali requisiti debbano avere le fotografie per vincere i concorsi importanti. Certo questo sguardo di Jamila, al suo ritorno dal Medio Evo, non fa grande cronaca e grande storia come il ragazzino di piazza Tiananmen. È molto più intimo e più personale. Ma l'effetto è ugualmente dirompente: ci rassicura sul flusso inarrestabile della vita, che nessun integralismo religioso e nessun blocco culturale riuscirà mai ad arginare, per quanto duri siano i metodi adottati.
La giovinezza di Jamila, l'istruzione di Jamila, le scelte di Jamila, al termine di una lunga battaglia familiare, inevitabilmente vinceranno. Il ritorno a scuola è già il primo passo del lungo percorso. Là in fondo aspetta una meta magnifica, evidentemente già inquadrata da Jamila con quegli occhi magnifici: la possibilità di affrancarsi da valori non più condivisi, di emanciparsi come donna, di realizzarsi secondo i modi e i tempi che più le piaceranno. In quello sguardo che buca tutti i veli e tutti i muri c'è un'idea antica come il mondo: vivere una vita da persona libera. Anche di sbagliare.
Cara Jamila, non so se la fotografia dei tuoi occhi vincerà mai un premio. Ma non importa nulla. Coltiva orgogliosa e indomita il tuo piccolo grande sogno.

Questo Paese, per quanto sgangherato e bizzarro, conserva un pregio impareggiabile: ti garantisce il diritto di scegliere un destino.
Data la lieta occasione, se permetti, lascia sognare un po' anche noi, conquistati da quello sguardo bellissimo. Lasciaci sognare che il tuo non sia il solito sogno di piazzarti in tivù e sposare una mezzala.

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