Ma tu guarda come è sorprendente la vita. Il Premio Nobel per la letteratura José Saramago, scomparso di recente, ha sempre avuto il cipiglio del moralizzatore. Col dito alzato ha rampognato gli errori del Vaticano, di Israele, dei vignettisti danesi poco rispettosi nei confronti del profeta (salvo gridare alla censura ecclesiastica e reazionaria di fronte alle proteste dei cittadini dell’Estremadura che avevano scoperto di aver finanziato con le proprie tasse una mostra fotografica in cui la Madonna stringeva tra le braccia un tenero porcellino).
Nel suo blog, prima di essere colto in castagna nel plagiare un articolo del Guardian, se la prendeva anche con le cattivissime multinazionali, col capitalismo rapace e perfino con la classe politica italiana, di cui sapeva quel poco che gli veniva riferito dagli amici di Micromega. A Berlusconi, per dire, rifiutava perfino il titolo di essere umano riducendolo a un oggetto di studio, la «Cosa Berlusconi»: «Non trovo altro nome con cui chiamarlo - scriveva ispirato -, una cosa pericolosamente simile a un essere umano, una cosa che dà feste, organizza orge e comanda in un paese chiamato Italia. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte morale del paese di Verdi se un profondo rigurgito non dovesse strapparlo dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrodergli le vene distruggendo il cuore di una delle più ricche culture europee». Altrove, nel Quaderno tratto dal blog, lo scrittore portoghese si chiedeva: «Nella terra della mafia e della camorra che importanza può avere il fatto provato che il primo ministro sia un delinquente?». Domanda retorica, gli italiani sono caduti così in basso da accettare «un capo mafioso» come presidente del Consiglio.
Ecco, Saramago assisteva sconsolato alla nostra «morte morale». E la morale stava molto a cuore al moralista Saramago. Ma solo quella degli altri, a quanto pare. Infatti il fisco spagnolo reclama da tempo 717mila euro dal premio Nobel, come riferiva ieri il quotidiano Canarias 7. Una sentenza dell’Audiencia Nacional del 21 aprile 2010, verificata dall’agenzia di stampa Ansa, ha respinto il ricorso presentato dall’autore contro l’agenzia delle entrate spagnola e conferma che deve pagare 717.651,78 euro per i mancati versamenti dell’Irpef nel periodo 1997-2000. Saramago ha sempre affermato che la sua residenza fiscale era in Portogallo, anche se l’autore risiedeva a Tias, sull’isola di Lanzarote (Canarie) dal 1993. Secondo la sentenza, durante i tre anni di ispezione fiscale lo scrittore si è rifiutato di offrire i dati delle rendite procurategli dal suo lavoro e dal suo capitale in Spagna o all’estero e non ha mai comunicato l’importo economico del Premio Nobel ricevuto nel 1998. Nonostante le ripetute ma inutili richieste. Il caso è ancora aperto. Infatti alla sentenza ha fatto ricorso l’avvocato di Saramago Andres Sanchez assicurando che il premio Nobel «aveva il suo centro di interessi vitali e economici in Portogallo, dove ha sempre dichiarato tutte le sue entrate».
Si scopre così in Saramago l’esistenza di una doppia morale: una molto severa e valida per tutti; e un’altra di manica larga riservata ai soli Premi Nobel portoghesi.
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