Cesare G. Romana
da Ancona
Il prologo è breve e folgorante, una frustata. «Fatti non foste a viver come bruti/ma per seguir virtute e canoscenza», scandiscono nel buio gli altoparlanti. E la voce è di Vittorio Gassman: antica, canora. Vibra come un violoncello e leffetto, fra i tremila assiepati nel Palarossini, è da brivido. Poi la sala si illumina, in controtendenza con le liturgie assodate del rock, e sul palco irrompe, di corsa, Jovanotti. Ovazione. La band, alle sue spalle, marcia compatta e incalzante. Il concerto comincia con un lungo medley, luci sempre accese, Lorenzo in splendida forma. Le parole si perdono un poco, ma nessuno ci fa caso: il rap è anche questo.
Avvio, dunque, travolgente, per il nuovo tour di Jovanotti, decollato in unAncona sciroccosa ed entusiasta. Ecco Mani in alto («in nome della legge/di quale legge: del lupo o del gregge?»): Saturnino al basso e un grandissimo Mylious Johnson alla batteria, portano sul palco atmosfere da notti del Bronx, «musica dura/musica senza melodie/musica che fa paura», scandisce Lorenzo e in tremila concordano. Ecco un Jovanotti meno solare e più asciutto, la tavolozza sonora punta decisa alle tinte scure, sullo schermo sfilano immagini di incendi, spezzoni di film, allusioni guizzanti, frati che danzano come dervisci.
Ecco Tanto: un innocuo divertissement, qui diventa epico. E le luci si abbassano, finito il medley il concerto entra nel vivo. «Più il mondo è moderno/più luomo diventa antico», annuncia Lorenzo. E poi: «Dovevate farmi fuori ventanni fa». E tuttavia: «La musica finisce ma rimane lamore».
«Liturgia relativista», avvertono le note preparate per la stampa: e infatti il concerto è una sfida al pensiero unico, procede per scarti e virate, celebra il culto del dubbio come già Buon sangue, lultimo bellissimo album jovanottiano. Perciò niente sermoni, questa volta: si celebra, contro linamovibilità del «messaggio», lestetica del moto perpetuo, la dialettica dellirrequietezza: nella gestualità, nel dinamismo dei suoni e nel flusso capriccioso dei concetti. Movimento perpetuo, come diagramma di unepoca che mastica i propri miti e li risputa a brandelli, frantuma le ideologie e non sa sostituirle: sicché «aleggio alla ricerca di un me - canta Lorenzo - col quale poter dialogare/ma questa linea dombra/non me lo fa incontrare». Lamore diventa, allora, il solo motore rimasto ai nostri ideali sconfitti: Una storia damore è non per niente il momento più intenso del lungo spettacolo, sugli schermi scorrono immagini di distruzione, auto sfasciate, fiamme, una città che sprofonda e lui canta: «Guarderò da giù/il grattacielo dei tuoi tacchi mozzafiato/e faremo lamore dentro a un temporale/con il cuore impazzito».
Domina, nella prima parte, un vitalismo fremente e onnivoro, che al concerto potrebbe offrire il suo maggiore fascino e insieme il suo limite. La radicalizzazione, puramente motoria, del «pensar positivo» cui saffidava, in un brano famoso, il Jovanotti-pensiero. La celebrazione della frenesia come residuale «ombelico del mondo». E invece no. Con Salvami il concerto abbandona, parzialmente, la sua dimensione più euforica ed entra in quella più riflessiva. Ecco Mi fido di te, il testo dice: «La vertigine non è/paura di cadere/ma voglia di volare». E si vola davvero, nellamore e più oltre. Il mio nome è Mai più reitera attese di pace in un mondo di guerre, sullo schermo la Stella di David sfuma nella Mezzaluna islamica, che sfuma nel simbolo dellanarchia, e poi nella bandiera italiana. E alla fine una scritta rammenta limperativo dei padri costituenti, «lItalia ripudia la guerra».
È il solo messaggio che non lascia, vivaddio, margini al dubbio, in questo concerto tutto impostato sul mettersi in gioco e in dubbio. Che trova nelle ultime canzoni la sua parte più magica, i suoi più emozionanti momenti poetici. Ecco così Serenata Rap e Per me, Piove ipnotica e danzante come appunto la pioggia.
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