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Juve & dintorni Caro Ferrara, parafrasando Totò: grandi allenatori si nasce...

Ciro Ferrara è libero di pensare e di dire quello che vuole. Ma i suoi pensieri e le sue parole, tenute sotto vuoto spinto per mesi quattro, sono esplose, improvvise, ad una data precisa. Si era appena concluso, per rescissione, il rapporto di lavoro tra il tecnico e la Juventus, dunque Ferrara ha ritenuto opportuno, immediatamente, di accendere il ventilatore e di mandare in circuito il necessario materiale.
A differenza dell'elegante e coerente diplomazia di Leonardo o del malinconico congedo, con lettera, di Prandelli, l'ex allenatore bianconero ha scelto la soluzione più diretta e più furbastra, una specie di outing, a voler essere raffinati, per lavare in pubblico i panni sporchi di casa.
Ha scaricato sui calciatori, sul proprio successore e sul club, una parte delle responsabilità, ha ammesso i propri errori ma è addirittura sceso nei dettagli, parlando della supponenza e antiitalianità di Felipe Melo, ha preannunciato problemi per Del Neri nella gestione di Del Piero «perché è uno che vuole giocare sempre», ha suggerito la conferma di Diego che «deve giocare dietro due punte perché ha il lancio» e ha spiegato che il compito di allenare la Juventus, per lui, era complicato per il fatto di dover gestire molti amici. Quando Ferrara subentrò a Ranieri era perfettamente consapevole di queste ultime difficoltà ma si guardò bene di denunciarle o di rinunciare all'incarico, quello era il momento di buttare a mare il tecnico romano e di diventare il Guardiola del Po. Nello stesso tempo Ferrara era a conoscenza dei capricci di Del Piero, già definito, in altri tempi, il «cocco di mamma» da Umberto Agnelli ma sempre protetto ed esaltato dalla curva dei tifosi e da una parte della stampa. Sugli atteggiamenti del raccattapalle da venticinque milioni di euro, al secolo Felipe Melo, nessuna novità ma chi ha continuato a impiegarlo, chi lo ha punito e chi gli ha insegnato a mettersi in riga?
Delle due l'una: o Ferrara ha lavorato da impiegato o da allenatore. Nel primo caso ha forse dovuto accettare suggerimenti e imposizioni altrui (Blanc? Cobolli Gigli? Secco? Bettega? Lippi?)? Nel secondo caso, non è stato capace di imporre le proprie decisioni a Del Piero, a Melo e agli altri, in una situazione da rompete le righe, con un'indisciplina generale segnale della latitanza di un capo, non soltanto in società ma nello spogliatoio?
Togliere oggi la maschera alla Juventus, che è stata e che fu, non mi è sembrata un'elegante soluzione tattica e politica, un'uscita di scena da signore, piuttosto il segnale di una immaturità professionale che non cancella la grande carriera di uno dei migliori difensori italiani ma limita il suo futuro percorso di responsabile tecnico.


Parafrasando Totò, grandi allenatori si nasce e qualcuno non lo nacque, modestamente.

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