Milanello - L’ombelico del mondo, per qualche giorno ancora, è via Turati, centro storico di Milano, sede del Milan e dei suoi trofei sigillati in un salone rimasto al buio da qualche mese. Qui vengono affissi, di primo mattino, i manifesti di protesta, qui stazionano telecamere, giornalisti e curiosi, qui sorvegliano il traffico gli agenti della Digos, sempre qui esplode, davanti al cancello dell’ingresso secondario, un grosso petardo, una specie di monito più esplicito di cento fax di protesta, di mille messaggini. Per entrare e uscire dal centro del mondo Adriano Galliani, vicepresidente vicario con la vocazione del kamikaze, deve infilarsi in un passaggio semi-segreto del condominio e restare assediato dentro il suo ufficio mentre si moltiplicano gli sms sul suo numero privato (ne arriva uno anche del fratello di Marco Tronchetti Provera, milanista doc, «non lo fare» il testo) e si mettono in fila le richieste di interviste, esclusive e no. «L’ho trovato tranquillissimo» riferisce al culmine di un colloquio sulla futura governance della Lega Cobolli Gigli, presidente. Tranquillissimo forse proprio no, ma pronto a tutto di sicuro, determinato a vivere le ore più difficili della sua luminosa carriera in rossonero, ricca di trofei e di qualche sconfitta patita senza colpo ferire. È a un passo dall’inferno: ha la polizia sotto casa e la consapevolezza di trasformarsi da idolo dei curvaioli nel bersaglio, sabato notte, delle proteste di San Siro rossonera: lui deve mettere la faccia in tribuna d’onore, al suo fianco i figli e qualche devoto amico.
Nel frattempo, uno alla volta, tutti gli uomini del pianeta Milan cominciano a sintonizzarsi sulla stessa frequenza della società: è il segnale che sta per cominciare un’altra epoca, comunque vada a finire l’affare del terzo millennio. «Il mondo è cambiato, il mondo è in recessione, vale esattamente la metà di quanto valeva un anno fa, e non si può non tenerne conto» sono i ragionamenti ascoltati, per la prima volta, al terzo piano di via Turati: hanno facce tristi e sconsolate, fanno finta di capire per non tradire l’ordine di scuderia. A sera inoltrata, quando sempre Galliani si trasferisce a Milanello per la cena tradizionale di ogni vigilia di partita, non c’è nessuno sviluppo clamoroso da registrare, a dispetto dei dispacci di agenzia di fonte araba che anticipano firme e conclusione del negoziato improbabili, anzi impossibili. Di sicuro, durante la cena, il vicepresidente del Milan e il suo gioiello (valutato dallo sceicco del City 110 milioni di euro, con un ingaggio di 500mila dollari a settimana - 385mila euro, 55mila euro al giorno - ai quali Kakà ha chiesto un aumento del 20 per cento come mancata partecipazione alla Champions), non dedicano nemmeno un minuto all’argomento. Che resta tabù, secondo tradizione nella conversazione. «Di soldi e di contratti Galliani discute solo con papà Bosco» riferiscono i bene informati. E risulta perciò inutile rincorrere tutte le voci e i numeri dell’operazione, ogni ora un rilancio, ogni edizione televisiva un particolare in più su una clausola. La verità, molto più semplice e lineare, è la seguente: l’appuntamento è fissato per lunedì, incontro a tre, prima riservatissimo, tra Galliani e papà Bosco, poi aperto agli inglesi che continuano a piantonare il calciomercato italiano, infine il vertice a tre. Già perchè non c’è ancora la certezza matemtica del sì di Kakà e del suo staff. E poi una intesa così importante e preziosa non può essere approntata in poche ore: ci sono avvocati, fiscalisti, fior di consulenti da consultare, prima dell’annuncio solenne e definitivo.
L’ombelico del mondo, per qualche giorno ancora, è sempre Kakà ed il segreto che si porta dentro fin dal suo arrivo nel pomeriggio, col troller nero e il saluto dedicato ai tifosi che si fermano dietro la cancellata del collegio. Lo pedinano, con i teleobiettivi, anche nelle pause dell’allenamento (l’ultimo, chissà) sul campo centrale di Milanello, mentre riposa su un pallone, pensieroso al fianco di Seedorf, o mentre lascia il campo, abbracciato a Carlo Ancelotti, oppure mentre si lascia scortare e forse consigliare da Leonardo che fu il suo privilegiato consigliere fin dai primi giorni di Milano e di Milan.
«Non se ne va» pronostica secco Kaladze. Sotto sotto la pensa così anche Ancelotti, l’allenatore. Ma se Kakà resiste e tentenna, non è certo per sempre. Perchè a giugno si riapre la questione: impossibile sigillare il portone.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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