Me ne frego di morire. È lultima sfida di Mir Hosein Mousavi, lultimo schiaffo al regime, linizio di un duello destinato a chiudersi soltanto con la caduta della repubblica islamica o la definitiva liquidazione degli oppositori. Il senso del drammatico messaggio pubblicato su un sito internet dal leader del movimento riformista è proprio questo. È un messaggio risolutivo in cui si sancisce limpossibilità di un compromesso. Così lex primo ministro - nato e cresciuto politicamente allinterno del movimento khomeinista - rompe i ponti con il passato e mette sul piatto la possibilità di fare la fine del nipote Ali Habibi, assassinato durante le manifestazioni di domenica scorsa.
«Arrestando o uccidendo Mousavi o Mehdi Karroubi (laltro leader del movimento riformista ndr) non riporterete la calma nel paese» - scrive luomo simbolo dellOnda verde nella sua prima dichiarazione dopo molti giorni di silenzio. Mousavi in quei giorni si è chiesto se cavalcare la tigre di una rivolta sempre più al di fuori dei binari della rivoluzione islamica o se cercare un compromesso. La risposta glielha regalata il regime. Arrestando più di 1.300 di persone, tra cui i suoi più stretti collaboratori, massacrando i dimostranti, uccidendogli il nipote, minacciando lui e gli altri capi della protesta il sistema della Suprema guida Alì Khamenei non gli ha praticamente lasciato possibilità di scelta. Senza quella dichiarazione risolutiva Mousavi rischiava di perdere il sostegno di molti oppositori, soprattutto di quei settori sempre più ampi dellOnda verde che considerano irriformabile il regime. Quellala sempre più radicale e sempre più vasta del suo movimento non saccontenta più di contestare la validità delle presidenziali di giugno, ma lotta per cambiare alla radice il sistema.
«Non ho paura - scrive Mousavi - di diventare anchio uno dei martiri del dopo elezioni, caduti lottando per la giustizia della propria causa, il mio sangue non è più rosso di quello degli altri martiri». Quelle righe sono anche la risposta alle minacce e alle provocazioni del potere. Le provocazioni hanno raggiunto la fase più alta mercoledì sera quando lagenzia Irna ha dato il via a una campagna di disinformazione per far credere a una fuga dalla capitale di Mousavi e Karroubi. Notizie seguite ieri dalle voci di movimenti di truppe alle porte della capitale. Le minacce nel frattempo si sono fatte sempre più intense e pesanti. Da giorni i fedelissimi della Suprema guida Alì Khamenei definiscono «mohareb», «nemici del Signore» i capi dellopposizione. In quelle accuse si nasconde lavvisaglia di una condanna a morte. Per i «nemici di Dio» la legge della Republica islamica prevede la pena capitale e dunque un arresto e un processo potrebbero portare alla forca sia Mousavi sia Karroubi.
Il primo a invocare processi sbrigativi evocando lombra delle esecuzioni sommarie dei primi anni della rivoluzione è Ahmad Jannati, il capo di quel Consiglio dei Guardiani che sancì la legittimità delle presidenziali di giugno conclusesi con la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad. La sferzata scatta nel corso della preghiera del venerdì. Linflessibile ayatollah approfitta del sermone per intimare ai responsabili dei servizi di sicurezza e dintelligence di «svolgere il proprio dovere e arrestare il più velocemente possibile chiunque infranga la legge». Subito dopo arriva la richiesta di processi sbrigativi e sommari come quelli dei primi anni del khomeinismo. «Abbiamo bisogno di giudici rivoluzionari e non di magistrati indolenti». Nelle staffilate di Jannati si legge però anche la preoccupazione di chi teme che alcuni settori dei servizi di sicurezza e del potere giudiziario non rispondano più alle sollecitazioni del potere. La risposta alle intimidazioni del falco Jannati è già contenuta nel messaggio di Mousavi.
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