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Kenneth Branagh, da Shakespeare al poliziesco filosofico

RomaChe c’entra Shakespeare con Agatha Christie? «Il meccanismo è lo stesso. Il racconto giallo, attraverso la descrizione di un delitto, porta alla luce la realtà della natura umana. La stessa cosa fa Shakespeare. Ponendo i suoi personaggi in situazioni estreme, ne fa emergere l’inquietante natura». E che a dirlo sia Kenneth Branagh, fra i massimi attori e registi shakespeariani al mondo, non deve stupire. Non è un caso infatti che il divo - ieri a Roma per ricevere il premio alla carriera del Festival della Fiction e protagonista in questi giorni nei cinema italiani con I love Radio Rock - in seno alla stessa rassegna abbia presentato Wallander. Un giallo, appunto: trasposizione in miniserie (prodotta dalla Bbc) dei bestseller dello svedese Henning Mankell. Tre episodi (in onda fino al 21 luglio su Sky Cinema 1) in cui il poliziotto filosofo protagonista «non è solo un poliziotto - come dice l’attore - ma soprattutto un uomo. Cioè un essere umano che, attraverso il contatto giornaliero col delitto e con la morte, scopre molto di se stesso e anche degli altri». I libri di Mankell, riflette Branagh, «posseggono una dimensione poetica ed esistenziale piuttosto anomala, per un poliziesco. Hanno un loro ritmo specifico, un “prendere tempo” particolare, una ricerca d’atmosfere cupe e scure assai precisa. Tutte cose che richiedevano, insomma, un approccio d’autore». E un’ambientazione svedese doc: «Non era pensabile fare a meno dei panorami, dell’intensità delle città svedesi, per raccontare queste storie. Gran parte del fascino di Wallander, infatti, nasce da quel clima ambientale».
Colto e intelligente, oltre che straordinariamente bravo, Branagh dimostra rispetto nei confronti della cultura classica. Ma non reverenziale timore. «So di essere noto soprattutto per le mie trasposizioni cinematografiche da Shakespeare. Ma credo che quei film abbiano funzionato proprio perché si avvicinavano ai classici come a esperienze creative autonome. Mi spiego. Il teatro di Shakespeare è fatto di parole, il cinema d’immagini. Così quando in Molto rumore per nulla il poeta descrive l’ansia delle donne che aspettano il ritorno degli uomini, io ho tolto quelle parole e le ho sostituite con le immagini di Denzel Washington che si avvicina a cavallo. Così si capisce perché le donne non vedono l’ora che ritorni. Questo non è più Shakespeare. Ma è una sua efficace rappresentazione».
E quanta distanza c’è fra l’interpretazione di un eroe televisivo e quella di uno teatrale? «L’obbiettivo è lo stesso: esprimere la verità. Solo che in teatro la verità devi farla arrivare fino all’ultima poltrona; in tv basta farla trasparire dagli occhi. Per me, attore di teatro, fare tv è stato molto utile. Mentre giravo Wallander portavo in scena Ivanov di Cechov; e certo la mia interpretazione teatrale ne è risultata molto più interiorizzata. Del resto, più invecchio più cerco di “essere” piuttosto che di “sembrare”». L’autonomia con cui Branagh tratta i classici (ottenendo l’approvazione della critica assieme a quella del botteghino) potrebbe applicarsi anche al suo prossimo impegno cinematografico? «All’inizio del nuovo anno comincerò le riprese di Thor, film tratto dalle avventure a fumetti del supereroe della Marvel. Un supereroe trattato come fosse Shakespeare? In qualche modo si. Intanto in quel personaggio il fumetto si sposa alla mitologia. E poi quando giro un film quel che conta è la qualità dell’esperienza creativa. Io cerco sempre di raggiungere il massimo, qualunque cosa faccia. Che poi si tratti di Thor o di Amleto, non importa».
E a proposito di Amleto, che ne pensa un divulgatore intellettuale come Branagh del ruolo che la tv potrebbe avere nella diffusione della cultura? «Questo sì che è un problema! - sospira lui -. Temo che quella di acculturare fosse la vecchia missione della tv. Ma oggi la tv è troppo pressata da necessità commerciali. Ciò non vuol dire che debba rinunciare del tutto alla sua vecchia missione. Deve però riuscirci con intelligenza. In Inghilterra la Bbc ha trasformato La piccola Dorrit di Dickens in una specie di soap opera che, andando in onda tutti i giorni per mezz’ora prima dell’ora di cena, ha forse insegnato a molti che non l’avevano mai letto quanto sia grande Dickens. Dove c’è immaginazione, c’è anche la possibilità di cambiare le regole».
Si diceva di I love Radio Rock, film attualmente nelle sale italiane con Branagh fra i protagonisti che interpreta la parte del cattivo. Nel 1966, mentre esplodono i Beatles e i Rolling Stones, il governo del Regno Unito vieta la trasmissione di musica rock e pop sulle radio dello Stato. E un gruppo di deejay decide di installare una radio su una piccola nave e di trasmettere 24 ore su 24 musica proibita dal mare per evitare i rigori della legge.

Nel cast oltre a Branagh ci sono Philip Seymour Hoffman (Patch Adams, Mission Impossible III, Truman Capote), Bill Nighy (Love Actually, Underworld, Pirati dei Caraibi) e Rhys Ifans (Notthing Hill, Le Riserve, Elizabeth-The Golden Age).

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