Cultura e Spettacoli

Tra kitsch e poesia essere ancora Zero a sessant’anni

Grandi festeggiamenti per il cantante più innovativo degli anni Settanta e oltre: un artista a tutto tondo. Debuttò nel 1974 in sordina con "No! Mamma, no!", poi nel '77 il successo

Tra kitsch e poesia essere ancora Zero a sessant’anni

Sospesi tra cantautori rossi e il Festival di Sanremo nel suo periodo di decadenza, gli anni ’70 sono stati il decennio noioso della musica italiana. Mentre in Inghilterra si susseguivano a ritmo frenetico il rock blues, il pop sinfonico, il glam e il punk, per non parlare della nuova generazione di americani capace di mettersi sulla scia dei miti degli anni ’60, qui da noi eravamo ancora alle banalità di rime tra «amore» e «rivoluzione». Almeno finché sulla scena non è apparso un ragazzo romano alto e magro, cresciuto al Piper di via Tagliamento, maschera tragicomica nascosta dietro improbabili travestimenti.

Era il 1974 quando Renato Fiacchini bagnava il suo esordio discografico, decisamente in sordina, con un atipico live No! Mamma, No!. Debutto non memorabile, ma con almeno due pezzi che passeranno alla storia, la title-track più «Paleobarattolo», autentica dichiarazione di poetica di chi non riuscendo a darsi un’identità precisa decide di chiamarsi Zero. Ci vorranno altri due lavori interlocutori per arrivare al completo successo. Il quarto album, Zerofobia, è del ’77 (uno speciale su quello spettacolo-evento si potrà rivedere oggi su Rai Storia alle 9,50 e 17,50). Renato conquista i teatri moltiplicando il pubblico. In quei solchi ci sono Mi vendo, Morire qui e Il cielo, brano indimenticabile nella prima fase della sua carriera. In copertina lui è vestito da Pierrot, il trucco pesante, l'espressione malinconica.

Musicista, performer, teatrante, circense, poeta, Zero utilizza una pluralità di segni e di linguaggi dove la canzone gioca il ruolo fondamentale, certo, ma non l’unico. Da allora il suo show si è trasformato in rito condiviso con un pubblico che ne conosce a memoria temi, gesti, scansioni, pause. Sono passati quasi quarant’anni, eppure nulla è cambiato. Quando Renato comincia a esibirsi sui palchi italiani, una delle forme più praticate, come elemento trasgressivo e di rottura rispetto a linguaggi tradizionali quali pittura, scultura ecc…, è la Body Art. Fenomeno complesso e sfaccettato. Nel modo di stare in scena di Zero tornano con una certa continuità, soprattutto nel primo decennio, quegli elementi di utilizzo del corpo in cui prevale il tono melodrammatico sul tragico, ad esempio in artisti visivi quali Luigi Ontani e Urs Luthi, nelle sue incursioni all’interno della classicità, o in Leigh Bowery, modello prediletto del pittore Lucien Freud, e nella sua particolarissima estetica queer. Zero è un body artista della musica leggera che porta sul corpo, come una seconda pelle, i segni delle proprie melodie e dei propri messaggi, subordinando alla fisicità e all’espressione ogni tipo di accorgimento scenico. Renato Zero e le sue canzoni camminano in bilico tra la teatralità del kitsch e il meccanismo dell’empatia, un territorio franco in cui non si rischia di risultare banali né retorici. Là dove alberga l’onestà e la purezza dei sentimenti. Là dove si può essere come si è. Gettare la maschera, non avere paura. Svelarsi. Renato, infatti, è messaggero di un’umanità vera, quotidiana. C’è tanto di Pasolini, c'è la semplicità che va di pari passo con la poesia.
Liquidato agli inizi come «il David Bowie della Garbatella», Renato sulla prevalenza dell’impatto scenico è giunto persino in anticipo, unico esponente italiano di quella generazione di creativi che hanno traghettato il glam degli anni ’70 alle frivolezze degli ’80: oltre a Bowie, Brian Ferry, Marc Bolan, Boy George, Adam Ant, Marc Almond, Village People.

Ma l’amore di un fan va oltre le pure motivazioni di ordine analitico. Le canzoni di Renato parlando di lui in realtà parlano di noi, perché i suoi versi hanno indelebilmente tracciato i passaggi salienti, generazione dopo generazione, fondendosi con una miriade di storie personali.

Renato oggi compie sessant’anni e per ogni sorcino questo anniversario suona in maniera ancora più particolare. Per ciò che mi riguarda, la sua musica ha accompagnato, passo dopo passo, ogni momento della mia esistenza, da adolescente a giovane inquieto, da uomo maturo a padre di famiglia. Pur vivendo sotto Zero, grazie alle sue canzoni non ho mai patito il freddo.

Con loro sono cresciuto, con loro mi preparo a invecchiare.

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