Gubbio - Sono bastati i tre mesi dopo l’estate per vedere l’impronta che Giuseppe Mussari ha dato all’Abi. La volontà di far compiere un salto di livello all’associazione delle banche italiane, dopo l’annuncio dei tagli a organico e struttura, si è colta con chiarezza nelle due giornate di seminario concluse a Gubbio. Una full immersion di Mussari e del suo team con i media, in cui il presidente non si è sottratto a nessuna questione, tenendo il sistema-banche saldo al centro del dibattito. Anche perché i messaggi da lanciare erano positivi: i prestiti a famiglie e imprese tornano a crescere e sono al top dal gennaio 2009, «quasi ai livelli pre-crisi», ha detto il capo economista Gianfranco Torriero. Mentre la volontà di collaborare con Confindustria è stata ribadita nel rinnovo della moratoria sulle rate dei mutui.
Ma oltre ai numeri e ai trend, Mussari ci ha messo del suo, offrendo una proposta sociale alle inquietudini del Paese, che poi toccano anche le banche per il rinnovo del contratto nazionale: «Questo non è il tempo di pugni di ferro, ma di strette di mano», ha detto in riferimento alle relazioni industriali. E sull’intenzione di sciogliere il fondo esuberi della categoria, «ci vogliono equilibri più avanzati e compatibili con il ciclo economico». Ma Mussari è andato oltre, sollevando il tema del «rapporto tra capitale e lavoro», da ridiscutere intorno a un tavolo dove, se un tempo «c’era lo Stato che riequilibrava gli scompensi» oggi non è più così. Allora serve «una nuova matrice: il rischio non può essere solo dell’impresa, deve stare a metà». Da un lato la partecipazione dei lavoratori non alla gestione, ma alle strategie. Dall’altro la disponibilità «a mettere a rischio un pezzo di retribuzione legando una parte del salario alla produttività e detassandola».
Un Mussari che si ritrova nei percorsi di Marchionne e Sacconi, dunque, e che riconosce l’inesistenza di alternative. Ma un Mussari che va anche oltre. In verità «tremontiano», prima di tutto. Forse avendo nel dna i geni di quell’austerity che Tremonti ha recentemente riconosciuto a Berlinguer, segretario del Pci in cui il presidente dell’Abi ha militato a lungo. O forse condividendo una visione di economia dal volto umano declinata al giorno d’oggi. Di certo Mussari, presidente del Monte Paschi di Siena e prima della Fondazione, fa parte di quei personaggi - in partenza politicamente lontani - con i quali Tremonti ha via via legato, come il presidente di Cariplo Giuseppe Guzzetti o quello della Cdp Franco Bassanini.
L’Abi si ritrova così un presidente forte, che dirà la sua. A cominciare dal «tavolo sulla crescita», non a caso ospitato a proprio a Palazzo Altieri. Uno che piace già anche a chi, per schieramento elettorale, all’inizio non lo voleva. E che acquisterà peso per il sistema in un ruolo inedito perché, rispetto a prima, le banche sono oggi singolarmente più deboli; mentre, per un motivo o per l’altro, sono usciti dal perimetro bancario personaggi invasivi come Profumo o Geronzi. C’è da scommettere - se n’è già visto un assaggio con un’intervista al Tg2 - che Mussari comincerà ad andare in tv, se invitato, per nulla spaventato dall’idea di metterci la faccia. Altro elemento per nulla scontato, nel sistema dei poteri bancari e finanziari nazionali.
A soli 48 anni, Mussari potrà
stare in sella all’Abi fino al 2014. C’è da chiedersi cosa farà dopo. Le ipotesi non mancano e sono tutte buone e prestigiose. Tutte meno una: il futuro leader del Pd. L’unica che forse lo metterebbe subito di cattivo umore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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