L’Afghanistan resta un terreno minato. Tra un mese la possibile disfatta in Aula

Ecco i cinque senatori pronti a colpire a morte un eventuale Prodi bis sulla politica estera

L’Afghanistan resta un terreno minato. Tra un mese  
la possibile disfatta in Aula

Roma - Fiducia sì, ma Afghanistan no. Se Romano Prodi dovesse ricevere un reincarico e ottenere la fiducia, all’orizzonte si profila un rischio disfatta a meno di un mese da questa crisi. Perché Prodi potrebbe non essere bocciato al Senato, ma il pericolo di un naufragio fatale è dietro l’angolo e ha un termine di tempo: trentatré giorni. Si potranno congelare i Dico, partorire nuovi provvedimenti per la Tav, ma c’è uno scoglio che né le piroette per la sopravvivenza, né quelle imposte al calendario delle Camere, possono aggirare: il rifinanziamento della missione in Afghanistan. L’impegno nelle missioni internazionali è stato inserito al primo posto nel nuovo programma vincolante in 12 punti di Prodi. Ma la «guerra» per alcuni senatori non è proponibile in nessun modo, a costo di tutto. Il decreto sul rifinanziamento delle missioni deve essere approvato entro l’1 aprile, trentacinque giorni da oggi, trentatré da lunedì.
Eccoli, i senatori che fanno paura al governo. Perché sull’Afghanistan si giocano il loro passato, la loro coscienza, e i loro elettori.
Al primo posto occorre citare i due dissidenti della sconfitta al Senato. Franco Turigliatto, ormai ex di Rifondazione, allontanato dal partito e ora nel Gruppo Misto, annuncia: «Non voterò mai e poi mai sì. Non posso rivotare una guerra».
Ci sono poi le «riserve», di ben tre senatori. Riserve che in alcuni casi sono più vicine al «no» che al «sì», perché i dissidenti chiedono un segnale forte della maggioranza per un ritiro, quando il manifesto di Prodi prevede tutt’altro. Il secondo «killer» del Professore al Senato, Fernando Rossi, ex Pdci, maltrattato dai suoi vecchi compagni, messo all’angolo come un lebbroso e minacciato, fa sapere: «Sull’Afghanistan voglio un segnale di speranza e chiarezza e poi deciderò. Dicono che io sono matto e irresponsabile, ma è perché gli ho bruciato la coda, smascherando la loro mancata chiarezza con gli elettori».
Non dà un sì incondizionato nemmeno il Verde Mauro Bulgarelli: «Prima di votare sì alla missione, devo vedere il decreto legge». E farebbe stare Prodi sulle spine anche il pacifista di Rifondazione Fosco Giannini. Nonostante la forca imposta dal suo partito al trotzkista Turigliatto, il senatore tenta un moto di orgoglio: «Lavorerò con il mio partito per arrivare a un’uscita dall’Afghanistan». Ipotesi quasi impossibile, dal momento che il Prc ha detto sì a Prodi e al suo programma bis: «Il mio no alla missione in Afghanistan rimane - precisa dunque Giannini - ma sono costretto, per ora, ad adeguarmi, per non essere espulso dal partito».


Infine c’è la senatrice che voterà sì sull’Afghanistan, ma poi si dimetterà immediatamente. Non sarà un danno in termine di voti, ma di immagine sì: «Voterò sull’Afghanistan e subito dopo mi dimetterò - spiega Franca Rame -. Alla mia età è difficile cambiare la testa e cedere al compromesso».

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