da Roma
Gabriele Visco, figlio del viceministro dell’Economia Vincenzo, è stato assunto come dirigente da Sviluppo Italia, l’agenzia governativa che si occupa di attrazione degli investimenti ed è controllata al 100% dal dicastero di Via XX Settembre.
Il giovane manager, già in Telecom Italia, è stato inquadrato dopo un trimestre da collaboratore (1 luglio - 30 settembre 2007), periodo durante il quale ha percepito un compenso lordo di 46.250 euro. Un caso di nepotismo? A prima vista la risposta potrebbe essere affermativa. La scorsa estate Il Sole 24 Ore e Il Giornale avevano sollevato il caso denunciando la presenza di nomi «eccellenti» nella società guidata dall’amministratore delegato Domenico Arcuri. Oltre a Visco, infatti, figura anche Bernardo Mattarella, nipote del deputato ulivista Sergio. Ma la questione è finita nel dimenticatoio fino a ieri quando il quotidiano Italia Oggi diretto da Franco Bechis ha reso nota l’assunzione del figlio del viceministro.
Va altresì ricordato che lo scorso 6 novembre la deputata dell’Italia dei Valori, Silvana Mura, ha depositato a Montecitorio un’interrogazione al ministro dello Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani (titolare della vigilanza sull’agenzia), sull’opportunità dell’inquadramento chiedendogli di rivelare gli emolumenti corrisposti al giovane dirigente. Ecco, la questione è tutta lì: un fatto di opportunità.
Lo stesso Arcuri, all’indomani della sua nomina, denunciò il degrado nel quale versava Sviluppo Italia. «Una banca anomala in cui i soldi si prendevano e non sempre si restituivano», dichiarò puntando il dito contro il «disordine stratificato» nel quale il 63% dei circa 1.700 dipendenti era dedicato a servizi di staff e solo il 37% a produrre ricavi. «La catena di comando è quantomeno bizzarra - aggiunse preannunciando il repulisti - perché un dirigente governa due quadri e tutti gestiscono 5 impiegati».
Il disboscamento della ragnatela di partecipazioni (15 controllate, 25 subcontrollate e 124 partecipate) dell’agenzia è ancora agli albori e per quanto riguarda la dismissione delle 17 controllate regionali il decreto «milleproroghe» ha concesso alla società altri sei mesi di tempo fino al prossimo 30 giugno. Ma per fare tutto questo Arcuri, ex numero uno di Deloitte Italia e vicino all’area ds, aveva bisogno di gente fidata e così ha assunto 7-8 manager che avevano già collaborato con lui in passato. Tra questi, oltre a Visco, Paolo Carcone e Giuseppe Arcucci.
E, secondo quanto si apprende, non avrebbe voluto sentir ragioni quando è stata sollevata la benedetta questione di opportunità, ossia assumere il figlio dell’«azionista unico». «Il suo curriculum, la sua esperienza professionale, il coraggio di essersi assunto l’onere di un cambiamento così radicale - e una mole di allusioni e provocazioni - credo valgano di più del suo cognome», ha replicato Arcuri a proposito del caso-Visco. «Un capoazienda chiamato a risanare una situazione disastrosa ha non solo il diritto, ma soprattutto la necessità di avvalersi di un gruppo di collaboratori coeso e consolidato negli anni», ha concluso.
Una scelta, legittima, di Arcuri perciò e non un’interferenza di Vincenzo Visco. Ma che, in sostanza, non fa che replicare una prassi consolidata nell’agenzia.
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