L’agitazione dei magistrati: «Siamo pronti a scioperare»

RomaC’è la solidarietà al giudice Mesiano, «spiato e inseguito» da una rete televisiva «mentre compie le proprie attività quotidiane che riguardano esclusivamente la sua intimità». C’è la «viva preoccupazione per il clima di costante tensione che attraversa il Paese». Poi, ultima ma non meno importante, arriva la motivazione regina: «La netta contrarietà a riforme che non servono a migliorare il sistema giudiziario».
La riforma della giustizia. È questo il nervo scoperto. Il punto numero tre («riforme punitive») è inserito in fondo alla piattaforma di guerra che l'associazione nazionale magistrati lancia come programma d’autunno: parte da ora lo stato di agitazione della categoria. Lo ha deciso ieri il comitato direttivo del sindacato dei giudici. Saranno da subito convocate «assemblee in ogni distretto per valutare future iniziative da intraprendere, nessuna esclusa». Sciopero compreso.
I magistrati sono in agitazione per solidarietà al collega Mesiano, indignazione perché s’intravede «il rischio di alterare il delicato equilibrio tra i poteri dello Stato», ma anche - o forse soprattutto - perché non vogliono una riforma così come è nelle intenzioni del ministro Alfano.
Il Guardasigilli legge proprio in questo senso l’improvvisa rivolta del parlamentino dei giudici: la protesta delle toghe «ha tutto il sapore di una guerra preventiva alle riforme», attacca Alfano, oltre ad essere «inspiegabile, sorprendente e dunque pretestuosa».
Sembra di tornare indietro di quattro anni, al 14 luglio del 2005, quando l’Anm scelse la ricorrenza della presa della Bastiglia per scioperare contro la legge Castelli. Anche allora si parlava di novità come la separazione delle carriere dei giudici. La legge sulla giustizia fu poi fatta a pezzetti dal governo Prodi. Ora la storia ritorna. Riforma e proteste.
Solo che adesso ci sono tanti ombrelli in più che coprono quella stessa motivazione del 2005: lo scontro tra poteri, il lodo Alfano, il pedinamento del giudice Mesiano. Niente di personale, sembra il contenuto di questa piattaforma che si appella a ragioni nobili per minacciare lo sciopero.
Dall’Anm ieri è arrivata anche la solidarietà a Berlusconi, Bossi e Fini per le anonime minacce di morte inviate contro i tre leader politici nella sede del quotidiano Il Riformista. Ma la nuova Bastiglia è all’orizzonte: lo stato di agitazione è stato deciso perché «è a serio rischio la tenuta democratica del Paese», ha annunciato il presidente dell’associazione dei magistrati, Luca Palamara. Si tratta del «primo step di un percorso verso forme finali di protesta». La risposta al ministro: «Non c’è nessun conflitto né guerra preventiva».
Il gruppo «Movimento per la giustizia» aveva messo sul tavolo lo sciopero immediato. Poi si è deciso di iniziare con le assemblee. È «emergenza democratica», sostengono tutte le correnti dell’Anm. Documento di lotta approvato all’unanimità.
La decisione della Corte costituzionale sul Lodo Alfano, si legge, «ha rappresentato una nuova occasione per gli ennesimi attacchi nei confronti della magistratura e dei singoli giudici, trascinati sul terreno della contrapposizione politica e accusati di disegni eversivi».
Appare poi «stupefacente e vergognoso» che «il giudice Raimondo Mesiano, reo unicamente di aver pronunciato una condanna della Fininvest al pagamento di una somma di denaro in una controversia civile, venga spiato e inseguito dalla rete televisiva di tale gruppo», con lo scopo di «denigrare e svilire la sua persona, anche attraverso il riferimento ad asserite conversazioni private del medesimo magistrato». L’Anm respinge «ogni condotta intimidatoria nei confronti dei magistrati con la finalità surrettizia di orientarne le decisioni».
Poi si arriva al punto: «Siamo contrari alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri». E contrari «alle ventilate riforme su composizione, poteri e modalità di elezione del Csm». «Netta contrarietà», infine, anche ai progetti di riforma sulle intercettazioni e sul processo penale.


Il ministro Alfano contrattacca: la protesta, osserva, arriva «da chi ogni giorno richiede il rispetto per l’indipendenza della magistratura», ma che «evidentemente non porta affatto rispetto per l’autonomia e l’indipendenza del Parlamento», e neanche «per l’incontestabile diritto-dovere di chi ha vinto le elezioni di realizzare il proprio programma di governo».
Di riforma costituzionale della giustizia si parla poi «da oltre un decennio», ricorda il ministro: dai tempi della «Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema».

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