Il 17 marzo 2011 bisogna chiederselo: dopo centocinquantanni, lItalia è un Paese unito? Recenti sondaggi dicono che circa sette italiani su dieci non credono più nellunità come valore identitario. E quasi otto trovano dei profondi meccanismi di identificazione con la piccola patria, vale a dire - più che con la regione - con la provincia o con il comune di appartenenza.
Questa è la realtà, dal punto di vista sociale. Del resto, lo spirito patriottico nazionale si diffonde nella società civile - e affiora in modo visibile - solo di fronte ai successi della nazionale di calcio e della Ferrari, di Valentino Rossi e di Federica Pellegrini. Non è lespressione di consolidate virtù civiche né di autentica partecipazione politica.
E tuttavia, dopo centocinquantanni almeno tre cleavage determinano la struttura del Paese: quello fra lo Stato laico e la Chiesa cattolica, quello fra il centro e la periferia, quello - infine - tra il Nord e il Sud. Anzi, per molti aspetti, la storia di questi centocinquantanni è la storia dei rapporti fra Nord e Sud, visto che la Questione meridionale nacque il 17 marzo 1861, quando Vittorio Emanuele II assunse il titolo di re dItalia. E il Paese raggiunse lunità politica, con la fondazione di un nuovo soggetto istituzionale, lo Stato.
Tali fratture non sono lineari, ma sintrecciano e si sovrappongono. E al di sotto celano altre profonde fratture: per esempio quella dellevasione fiscale o quella degli sprechi nella pubblica amministrazione. Due piaghe che sono diffuse e radicate in modo disomogeneo su tutto il territorio nazionale (anche al Nord cè evasione e vi sono Comuni che sprecano le risorse pubbliche).
Già negli anni Settanta, qualcuno cominciò a parlare dellesperienza «fallimentare» dello Stato unitario. In sede accademica, le prime indagini sulla morte della patria e la fine dello Stato si svolsero tra gli ultimi anni Ottanta e i primi Novanta, con il crollo del Muro di Berlino e della Prima repubblica. Ma qualche anno prima, aveva cominciato a diffondersi - in una certa area del Paese, la valle del Po - lopzione federalista come la risposta politica più efficace alla crisi dello Stato: autonomia e responsabilità avrebbero potuto ricomporre le sue profonde fratture, questo era il convincimento. Valido allora come oggi.
È in questo quadro che occorre cercare le risposte per mettere insieme e trovare coerenza tra latteggiamento dei consiglieri regionali leghisti della Lombardia, che ieri hanno abbandonato laula alle note dellinno di Mameli, e alcuni sondaggi che indicano un tasso di «patriottismo» molto elevato al Nord-Est tra lelettorato del Carroccio. Allapparenza si tratta di elementi contraddittori. Nella realtà, dietro la presunta indifferenza di alcuni esponenti leghisti di fronte alle celebrazioni vè una sorta di censura - o comunque un atteggiamento severamente critico - nei confronti della grancassa retorica. Atteggiamento critico peraltro legittimato dalle profonde fratture che oggi scompongono il Paese. Con le quali occorre comunque fare i conti, soprattutto in occasione del 150mo dell«unità» nazionale. E solo il federalismo potrà ricomporle, per tenere insieme un Paese nei fatti già scomposto, frammentato e diviso.
È un disegno, quello federale, che poggia sullautonomia e lautogoverno delle singole comunità territoriali che caratterizzano, in modo articolato e composito, il tessuto politico e sociale, economico e culturale del grande Nord. In queste comunità, per esempio, larruolamento nel corpo degli Alpini viene visto come una sorta di adesione a una milizia territoriale. Una milizia territoriale, espressione specifica delle genti dellarco alpino, che - nella storia e anche nellepopea - è fondata su valori importanti: grande spirito di sacrificio e abnegazione, forza e coraggio.
Questi sono elementi che contraddistinguono la mentalità collettiva e le virtù civiche delle comunità territoriali del Nord, dellarco alpino e subalpino, là dove la Lega miete altissimi consensi. Che poi il corpo degli Alpini - con le sue imprese - in talune circostanze sia stato strumentalizzato in senso ultranazionalistico, questo è un altro problema.
Insomma, in occasione del giubileo, cioè del centocinquantesimo anniversario della nascita dello Stato (lasciamo stare la nazione, per cortesia), il presente ci propone due coincidenze allapparenza stravaganti: il processo di federalizzazione della fiscalità che sta per giungere risolutamente in porto e il ventennale della Lega Nord. Al di là della retorica celebrativa e delle polemiche strumentali, bisogna farsene una ragione.
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