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L’analisi Licenziamenti, il giudice non può invadere le scelte aziendali

La normativa sul lavoro da troppo tempo aspetta di essere riformata in modo da renderla sempre più al passo con i tempi moderni. In questa direzione va proprio il «Collegato Lavoro» attualmente in discussione in Parlamento: elimina alcune rigidità e snellisce il processo del lavoro garantendo rapidità e certezza di giudizio, elementi questi da sempre richiesti da tutti i cittadini. Tuttavia, è altrettanto doveroso segnalare che alcuni passaggi normativi non sono condivisibili. Mi riferisco, in modo particolare, alla disposizione che consente al giudice del lavoro di valutare le motivazioni del licenziamento facendo riferimento anche all’interesse oggettivo dell’organizzazione aziendale. Se dovesse definitivamente «passare» questa norma verrebbe consegnato, di fatto, al giudice il potere di invadere un terreno di competenza esclusiva dell’imprenditore: decidere le sorti della propria organizzazione aziendale.
In altre parole, la magistratura del lavoro avrebbe la possibilità di sindacare le scelte aziendali ai fini della legittimità o meno dei licenziamenti, specie se oggettivi. La norma, se mi è consentito, è un autentico autogol. Infatti, nella migliore delle ipotesi è inutile, nella peggiore è incostituzionale. Inutile qualora venga interpretata in senso estensivo, impedendo - cioè - al giudice di valutare ogni e qualsiasi interesse dell’azienda. In questo senso, in altre parole, la disposizione affermerebbe ciò che attualmente la giurisprudenza già sancisce: nessuna valutazione delle scelte aziendali in quanto contrastante con l’art. 41 della Costituzione. Questa lettura parrebbe autorizzata anche dall’inciso contenuto nel disegno di legge secondo cui, in ogni caso, deve essere rispettato il principio costituzionale dell’insindacabilità delle scelte imprenditoriali. Ma se così fosse che senso avrebbe la modifica legislativa? Sul punto, quindi, si è autorizzati a pensare che il giudice possa sindacare anche le scelte aziendali. Solo così, infatti, può avere senso la valutazione delle motivazioni al licenziamento con riferimento all’interesse oggettivo dell’organizzazione aziendale. Tale interpretazione, di conseguenza, rende inevitabilmente incostituzionale la norma, contrastando palesemente con l’art. 41 della Costituzione. Da ripensare, infine, sono quelle disposizioni che si riferiscono alla valutazione del licenziamento con riferimento alle fondamentali regole del vivere civile ed alle tipizzazioni di giusta causa contenute nei contratti collettivi, oltre a tutte quelle norme che consentono la risoluzione delle controversie di lavoro secondo equità, anziché applicare le norme di legge.

Regole anch’esse di dubbia utilità, oltre che foriere di contenziosi, anche sindacali. Sono comunque certo che il legislatore farà tesoro dei suggerimenti degli addetti ai lavori e migliorerà il già ottimo impianto legislativo.

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