Quel che impressiona nella scena politica italiana che si svolge sotto i nostri occhi è come i cosiddetti professionisti appaiano sempre più balbettanti e incapaci di uniniziativa in qualche modo coerente mentre il «dilettante» Silvio Berlusconi sembra ancora ben in grado di rivolgere una proposta diretta al Paese e dimostra di non temere in alcun modo il giudizio degli elettori.
Il povero Pier Luigi Bersani in pochi giorni è passato dal lanciare lidea di un «governo che faccia la riforma elettorale» a un «governo Tremonti» a un governo di Cln contro Berlusconi: un chiaro stato di confusione mentale in cui è evidente come gli incubi del segretario del Pd siano più determinati dai vari Nichi Vendola e Sergio Chiamparino che dal centrodestra. Anche Gianfranco Fini, descritto sovente come un politico raffinato da tanti editorialisti e dai suoi più colti consiglieri, non è in grado di mandare un qualsiasi tipo di messaggio definito alla nazione: un giorno è bipolarista, un altro tripolarista; un giorno è per il maggioritario e presidenzialista, laltro ultraparlamentarista e proporzionalista. Garantista con Raffaele Lombardo, giustizialista con Nicola Cosentino; ultralaicista ma al carro di Pierferdinando Casini; severo con le case di Claudio Scajola, scanzonato con le ville di Montecarlo, durissimo con lillegalità tranne che con quella dei clandestini.
Per comprendere questa situazione non basta riferirsi alla cultura e ai caratteri degli uomini, vi sono fenomeni storici e sociali che determinano certi processi al di là delle virtù (talvolta peraltro assai scarse) individuali. Il vecchio Movimento sociale rappresentava un pezzo della storia dItalia: pubblico impiego, borghesia del Sud, certi settori delle professioni di orientamento conservatore; lantico Partito comunista aveva salde radici tra i lavoratori, si era formato svolgendo un ruolo centrale nella storia repubblicana del secondo dopoguerra. Molti degli esponenti di questi antichi mondi dotati di senso nel passato, ora non svolgono più alcuna reale funzione sociale e nazionale, sono pure nomenclature magari dotate di una certa tecnicalità politica ma non più in grado di rappresentare una storia che è finita o basi sociali che si sono perdute ed è faticoso riconquistare. Un po come i bonapartisti in Francia dopo il 1814 o i comunisti nostalgici russi negli anni Novanta, si cerca puramente di sfruttare la gloria del passato per mantenere pezzi di potere (e annessi privilegi). Il problema non è quello dei collegamenti con «lesterno»: per lo più si tratta di forze politiche in grado di farsi appoggiare, talvolta da imponenti settori e interessi anche non solo nazionali, da grandi lobby e dai giornali che queste esprimono, e naturalmente dai vari settori della magistratura che cercano di dominare la politica italiana. Ma in questo modo non si riesce a rappresentare la società italiana: si svolge una pura attività di servizio e di sopravvivenza autoreferenziale. È chi sostiene le varie nomenclature che ha un suo progetto e una sua autonomia, mentre chi è «al servizio» fluttua: un momento sullonda della Repubblica quello successivo su quella della Stampa, oggi con questa procura domani con quellaltra.
Al di là delle difficoltà che il centrodestra ha e ha avuto nel formare un ceto politico nuovo sotto il fuoco di settori della magistratura che vogliono governare tutto e che non si sono tirati indietro dal destabilizzare persino il governo Prodi per i loro giochi di potere, il berlusconismo e la Lega Nord, invece, alla fine riescono a trasmettere un messaggio di una qualche solidità perché esprimono forze reali, perché danno rappresentanza a istanze di fondo di una società che non vuole più essere regolata dallalto (magari da un potere in toga) bensì vuole essere libera e aperta.
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