Lo specchio di Wesley Sneijder ha raccontato che una mattina gli si è presentato davanti Wesley Benjamin Sneijder.
Era tutto eccitato e si era vestito da calciatore: farò, diventerò, vincerò, conquisterò, era tutto un fremito. Allora lo specchio gli fa: amico mio, non hai la genialità di Maradona, la forza di Matthaeus, l’eleganza di Baggio, il colpo di testa di Gullit e se vogliamo ti mancano venti centimetri per arrivare a Veron. Lascia stare, se vuoi diventare un numero dieci devi rifare tutto da capo, è come spazzolare via anni e anni e riscrivere i testi sacri del calcio.
Il piccolo Wesley non la prese bene e lasciò l’operoso quartiere di Ondiep, così come lo presentavano i suoi abitanti in mancanza di migliori referenze, e assieme Utrecht e lo specchio menagramo.
Adesso si sposa quella stangona della Yolanthe Cabau van Kasbergen, si è fatto cattolico, e la Fifa gli ha dato anche la paternità dell’autorete di Felipe Melo. Quando si mette a girare bene, gira tutto bene. Magari finisce che gli danno anche il Pallone d’oro. Per ora è suo, fuori Milito e Maicon, a casa Zanetti e Cambiasso, sarebbe l’unico ad aver spazzolato in stagione tutto il bancone dei trofei, quello che ha spedito al mare la pomposa Seleçao di Dunga, quello che si è messo in testa di fare l’Arancia meccanica da solo.
Un anno fa di questi tempi Valdano lo aveva chiamato e gli aveva consigliato di trovarsi un altro club, al Real non c’era più posto, adesso tutti quelli che ha incontrato casualmente per strada durante la sua vita, garantiscono di essere i suoi veri scopritori. David Entd, team manager dell’Ajax, giura che il merito è tutto suo se Sneijder oggi è Snejider, l’allenatore delle giovanili, Danny Blind, assicura che la segnalazione la fece lui, Ronald Koeman precisa che fu lui a convocarlo per primo, e perfino quel ciondolone di Petrus Ferdinandus Johannes van Hooijdonk detto Pierre, si è preso del merito: «In nazionale al termine dell’allenamento restavamo anche due ore a calciare da tutte le posizioni, e lui tentava di imitarmi».
Lui, Benjamin, ha preso un po’ da tutti, ha messo nel frullatore e gli è venuto fuori il più atipico numeri dieci della storia, dove non ci poteva arrivare ha giocato di fantasia, è più veloce di Maradona, è più tecnico di Matthaeus, non può mettersi i tacchi per raggiungere Veron ma ha un lancio che fa impressione, oltre sessanta metri per servire Robben contro la Slovacchia, già visto a Stamford Bridge per Eto’o, gol, partita, quarti di Champions. Di Lothar Matthaeus gli veniva bene il giro con le sventole, poi un giorno l’hanno paparazzato in un sotterraneo mentre si pastrugnava con la Yolanthe, le telecamere a circuito interno sono finite sul web, record di contatti, due minuti secchi di performance. Allora Benjamin ha fatto il colpo. Mentre stavano andando lui e lei in Dubai per una vacanza, è entrato nella cabina del comandante, si è fatto accendere il citofono e le ha chiesto: Yoly mi vuoi sposare?
Dai, arriva saltellando a uno e settanta ma ha tutto, centoventi passeggeri in estasi, a piangere anche le signore di un certo livello e adesso chiude la faccenda: il 17 luglio, in Toscana, la sposa.
Ma si sa come vanno certe cose, prima di suda e si mastica amaro. Con Raul al Real non si potevano soffrire, e con Guti quasi. Se ti metti di traverso con due così non fai molta strada a Valdebebas. Però il Real è furbo, quando glielo ha venduto a Mourinho ha chiesto 16 milioni più tre nell’eventualità ipotetica che Wesley Benjamin Sneijder vincesse casualmente qualcosa durante la stagione. Uno scrupolo, mica ci credevano veramente.
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