L’apocalisse dell’euro può cominciare lunedì

L’importanza della posta è palpabile nel nervosismo manifestato già ieri dalle Borse. Tutte giù, con quell’alibi prêt à porter del deludente andamento del mercato del lavoro americano che fa acqua da tutte le parti. In realtà, c’è ben altro in gioco. E per l’esattezza, quale idea di Europa potrebbe uscire dalle urne durante il week-end. Da quelle francesi, con il duello Sarkò-Hollande; ma, soprattutto, da quelle greche, una sorta di conundrum politico oggi come oggi indecifrabile. Sull’idea di un certo rigorismo spinto all’estremo e di chiaro stampo merkeliano, tira una brutta aria nell’eurozona, dove non è ancora riuscito il miracolo di coniugare il «tirate la cinghia» con l’uscita dalla palude della crisi. Troppi disoccupati, troppi elettori incazzati.
L’assioma è perfino elementare, ma diventa potenzialmente dirompente in un Paese come la Grecia, stremata dalla teoria di tagli draconiani e da una recessione che si divora gli stipendi di quanti ancora una busta paga ce l’hanno. Le elezioni prospettano una marmellata partitica indigeribile e impossibile da tenere assieme. Con la prevedibile polverizzazione dei consensi, nessuno avrà i numeri per governare da solo, neppure il partito di centrodestra Nuova Democrazia di Antonis Samaras. Servirà una coalizione, un’impresa titanica. Samaras ha un passato non proprio di rispetto cristallino per l’ortodossia di Maastricht, ma alla sua destra siedono gli ultras dell’anti-europeismo come i Greci indipendenti di Panos Kammenos e quelli di Alba Dorata. A sinistra le cose sono altrettanto ingarbugliate: il Pasok di Evangelos Venizelos subirà un tracollo senza poter tendere la mano ai nemici del Syriza e ai comunisti, favorevoli all’uscita dall’euro.
L’ipotesi di un’ulteriore tornata elettorale, magari già in giugno, non è dunque da escludere. Ciò che inquieta i mercati non è comunque solo l’ingovernabilità che si va profilando, ma l’eventuale rispetto degli impegni presi a livello europeo in cambio di un bel pacco di miliardi. «Lo stesso Samaras - spiega Antonio Cesarano, economista di Mps Capital Service - ha sottoscritto un documento vago, senza assumersi impegni assoluti».
Una nuova sindrome greca è lo spettro capace di agitare, fin da lunedì prossimo, i mercati. Che hanno invece già metabolizzato l’affermazione in Francia di François Hollande. Negli ultimi giorni, lo sfidante di Sarkozy ha peraltro annacquato certe posizioni estremistiche, a cominciare da quella sul Fiscal compact. L’idea di Hollande è quella di trovare un’intesa con la Merkel sull’inserimento nel Patto di bilancio di una clausola per la crescita. Insomma, il growth compact caldeggiato da Mario Draghi, numero uno della Bce, seppur il presidente francese in pectore spinga anche per uno strumento di finanziamento infrastrutturale come i project bond, su un maggior ruolo da attribuire alla Banca europea d’investimento e su una tassa sulle transazioni finanziarie.
Certo non idee eccentriche, essendo già state presentate lo scorso marzo dalla Commissione europea, e dunque potabili per gli investitori che non si aspettano sorprese neppure dalle amministrative in Italia. «La fiducia verso Monti è intatta - dice Cesarano - , a patto che dal voto non esca fortemente ridimensionata la maggioranza che sostiene il governo». Logico: in quel caso, il cammino delle riforme potrebbe incepparsi. «Io però non perderei di vista - aggiunge Cesarano - il doppio appuntamento elettorale in Germania, un test importante per la Merkel».

La Cancelliera potrebbe infatti essere tentata di chiedere le elezioni anticipate se dovesse crollare l’Fdp, in modo da puntare su una grosse Koalition. Ma la mossa della Cancelliera rischia di non piacere alle Borse nel caso si aprisse una crisi di governo. Si vedrà. Per ora, tutte le antenne sono sintonizzate sulla Grecia. Incrociamo le dita.

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