Entrare nel teatro San Carlo restaurato è unemozione storica al pensiero che qui presentarono loro opere Rossini, Donizetti, Verdi; ed è anche unemozione da sindrome di Stendhal, quella che accompagna alla soglia del malore per troppa bellezza. La forma del teatro a palchetti, all'italiana, si sa, è una delle grandi invenzioni della civiltà, forma perfetta, che raccoglie nellimmensità ideale del cerchio le persone che saffacciano verso il palcoscenico e quelle che si raccolgono davanti, uniti nel respiro della musica. Ma viverla così, in uno spazio tanto vasto, quando la festa è nellaria e la bellezza è tanto evidente, è una specie di premio a non si sa qual merito per noi così distratti e intrisi di tuttaltri pensieri.
Che splendida armonia, che festa dori e rosso, di intense decorazioni che nel volo delle forme circolari perdono peso. Locchio si sperde, eppure è come se potessimo dominarne lo spazio...
Persino Elisabetta Fabbri, nel riguardarlo ancora dopo giorni e giorni di lavoro, quasi si trasfigura nello sguardo: la fascinosa giovane veneziana dopo avere curato i restauri conservativi della Scala, della Fenice, del Petruzzelli, qui è progettista e direttore artistico dei lavori. Spiega che per rispondere alla domanda del teatro rifatto dovera e comera non si può fingere di ripetere una costruzione immobile nel passato, ma bisogna studiarne tanto la storia da trovare unimmagine che, di tutto il mutevole cammino nei quasi duecento anni, ne interpreti la nostra memoria e la giusta funzionalità.
Un San Carlo più San Carlo di così non può essere, penso mentre lascolto. E adesso? Chi lo dirigerà? Non si fa ancora il nome dun sovrintendente, non sintravede un direttore artistico su cui ci sia l'accordo.
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