L’arte e la moda: Louis Vuitton «sfida» Milano

I mecenati dell’arte, che una volta erano i prìncipi e nell’epoca contemporanea sono per lo più le grandi aziende, hanno per tradizione l’onere di doversi fidare della idee degli artisti, accettando il rischio che possa andare male. Così quando Hervè Mikaeloff, il curatore di fiducia della Fondazione Louis Vuitton di Parigi, commissionò nel 2006 all’islandese Olafur Eliasson un progetto d’arte per le vetrine natalizie dell’intera catena commerciale, dovette ingoiare una delle risposte più stravaganti che forse nessuna griffe avrebbe mai accettato. La risposta fu «nothing», «nulla». Ovvero, le vetrine non avrebbero dovuto contenere alcun prodotto ma soltanto l’opera «Eye see you», ovvero un grande occhio luminoso puntato sui passanti. Qualcuno, ai vertici del gruppo parigino, trasecolò: «Come, proprio a Natale?». Ma ancora una volta la tradizione del fondatore che dà il nome alla griffe, appassionato collezionista che fu amico degli impressionisti e ai primi dell’Ottocento diede man forte ai pionieri dell’Art Nouveau, venne rispettata. «E facemmo bene» racconta il curatore che proprio oggi a Milano inaugura la mostra «Scritture silenziose» che dall’Espace culturel Louis Vuitton di Parigi emigra a Palazzo Dugnani. «Quell’operazione fu un successo -dice Mikaeloff- e l’opera di Eliasson attirò più clienti delle borse in vetrina».
Arte e moda sono un connubio a cui il pubblico in questi anni si è abituato. In Italia gli esempi si sprecano. Da Fondazione Prada, diretta dal guru dell’Arte Povera Germano Celant; a Fondazione Trussardi, che a Milano in questi anni è stata protagonista di alcune tra le incursioni artistiche più dirompenti (come i bambini impiccati di Maurizio Cattelan o le performance di Tino Sehgal alla villa Reale); al Premio Furla, uno dei riconoscimenti artistici più ambiti sotto i nostri campanili. Il caso Vuitton, che da tre anni ospita mostre tematiche nel grande spazio all’ultimo piano della Maison di Champs Elysèes, pare tuttavia singolare per le modalità con cui in 150 anni il marchio ha voluto seguire la vocazione del fondatore attraverso progetti di collaborazione con artisti, designer, e decoratori. Progetti di mostre itineranti, come quella sulla scrittura che si apre oggi, ma anche interventi invasivi sulle linee di prodotti o sulle location del gruppo. Gli art works hanno coinvolto artisti come l’americano Richard Prince che, oltre ad aver realizzato una borsa in edizione limitata disegnata da Marc Jacobs, il direttore Artistico di Vuitton, la scorsa primavera ha impacchettato alla maniera di Christo il museo dell’arte di Hong Kong nell’ambito di una mostra dedicata alla promozione artistica della Fondazione. Le committenze a grandi star dell’arte contemporanea hanno raggiunto anche il re dei manga Takashi Murakami, che nell’ottobre 2007 ha sottolineato la collaborazione con Vuitton perfino creando store monomarca nei musei. Per la sua grande personale al Guggenheim di Bilbao, l’artista giapponese ha presentato «Flowerball», un grande arazzo realizzato in edizione limitata di soli 20 esemplari messo in vendita esclusivamente presso la boutique Louis Vuitton della capitale basca. E via di questo passo.
La mostra milanese che si inaugura oggi a Palazzo Dugnani si inserisce invece in un macrotema caro al curatore Mikaeloff, quello del viaggio, ed è interamente dedicata a un progetto con cui la Fondazione Vuitton si impegna a richiamare l’attenzione sull’isola di Pasqua. Tutto parte dall’antica scrittura Rongo Rongo, ovvero l’enigma inciso su tre tavolette custodite ne Musei vaticani e interpretate da 15 artisti di fama internazionale. Le «scritture silenziose» hanno visto in mostra, a Parigi e oggi a Milano, opere di Tracey Emin, Barbara Kruger, Joseph Kosuth, gli italiani Marco Nereo Rotelli e Giuseppe Penone, e altri ancora. Quasi tutti gli artisti presenti sono stati scelti per la loro forte specificità nel rapporto tra scrittura e immagine, inteso nella sua accezione simbolica ed evocativa. «Le tavolette Rongo Rongo di Rapa Nui -spiega il curatore- presentano un sistema di glifi rimasti indecifrati, ossia silenziosi, dal giorno della loro scoperta. Partendo da queste scritture silenziose, il nostro intento è stato quello di raccontare il concetto di impronta, di traccia, di segno e di scrittura». Inutile dire che le opere spaziano tra tutti i linguaggi della contemporaneità, dall’installazione alle videoproiezioni dove le parole si mescolano ai simboli in un coacervo di testimonianze tra passato, presente e futuro.

Eccetera.

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