Roma - Un tragico incidente. E poi la fuga dettata dalla paura. Sono le due linee difensive di Doina Matei, la romena di 21 anni arrestata domenica sera a Tolentino, nelle Marche, per l’omicidio di Vanessa Russo, 23 anni, avvenuto giovedì scorso nella metropolitana di Roma. La donna, interrogata nella notte, appena giunta nella capitale, dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dal sostituto Sergio Colaiocco, è apparsa disperata. «Non volevo uccidere Vanessa - avrebbe detto in lacrime - è una ragazza giovane come me, mi sono solo difesa». Secondo il racconto della romena, assistita dall’avvocato Giuseppe de Napoli, Vanessa Russo sarebbe finita con il volto sulla punta dell’ombrello da lei alzato per difendersi da un tentativo di aggressione dopo un diverbio tra le due. La ricostruzione dei fatti della romena non avrebbe convinto gli inquirenti soprattutto alla luce delle testimonianze di chi ha assistito alla scena. Persone che raccontano di come Doina abbia impugnato l’ombrello come un’arma e abbia vibrato un fendente violento verso il volto di Vanessa, mentre l’altra ragazza, la minorenne, Caterina I., avrebbe inutilmente tentato di deviare il colpo. Ma l’autopsia sul corpo di Vanessa ha evidenziato una frattura della parete orbitaria provocata chiaramente da «un colpo diretto inferto con violenza».
Insomma, l’incidente fortuito appare al momento soltanto una disperata linea difensiva. Ne sarebbero convinti gli inquirenti, che hanno chiesto la convalida del fermo con la grave accusa di omicidio volontario aggravato da futili motivi. Ormanni e Colaiocco hanno parlato di «una reazione voluta e sproporzionata rispetto ai fatti da parte di una persona instabile che ha agito con violenza e forza». Anche perché, contrariamente a quanto raccontato da Doina, sembrerebbe da escludere che Vanessa abbia schiaffeggiato la romena, mentre avrebbe solo reagito verbalmente a una spinta ricevuta da una delle due ragazze nel maledetto convoglio del metrò.
L’udienza di convalida del fermo si terrà probabilmente domani. L’altra ragazza è invece indagata per concorso in omicidio. La sua posizione, per quanto lievemente alleggerita dalle ricostruzioni fatte ieri, è al vaglio delle Procure per i minori di Ancona e Roma. «Aspettavamo i carabinieri, lo sapevo che prima o poi ci prendevano...», ha detto in lacrime agli investigatori. Un diploma di terza media in tasca, aveva lavorato in una fabbrica di conserve, poi come commessa. Ma le sue aspirazioni erano altre, e aveva scelto l’Italia. «All’inizio stavo da mio zio a Tivoli, poi lui è rimpatriato, e io sono andata a vivere con Doina». Cerca di discolparsi l’argentino che aveva ospitato le ragazze: «Non le conoscevo e non sapevo di avere in casa le persone che erano ricercate in tutta Italia», dice Ramon Marcelo Tinaglia, l’argentino di 49 anni arrestato per favoreggiamento.
Una certezza è che Doina Matei avrebbe già dovuto lasciare l’Italia. Alla fine del 2006, col permesso di soggiorno per cure mediche scaduto, si era vista recapitare un provvedimento di espulsione per violazione della Bossi-Fini. Con l’amica Caterina si divideva tra le Marche, Tivoli Terme dove avevano trovato alloggio in una locanda, e la capitale, sui cui marciapiedi si vendevano. Alcune testimonianze hanno permesso di ricostruire la vita delle due romene. L’affittacamere racconta di avere regolarmente comunicato alla questura la loro presenza. Nessuno aveva sospettato che fossero prostitute, anche se la notte rientravano tardi e la mattina, per dormire di più, a volte chiedevano di non rifare la stanza. Una vita tranquilla, da «buongiorno» e «buonasera». Niente più. Fino a quando, la sera di venerdì 27, mentre Vanessa moriva, le due hanno lasciato la locanda. Ma nessuna fuga precipitosa.
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