L’assassino è lo scrittore La svolta in giallo di Picca

Anche l’autore romano si dà alla narrativa di genere. Ma il suo giallo-psichedelico va oltre i modelli lucarelloidi o alla Camilleri

Stavolta vuole vendere, il Picca. Lui non lo ammetterà mai eppure le cose stanno così, ci mettiamo la mano sul fuoco. Del resto è più che legittimo. Arriva il giorno che uno scrittore si stufa di tante belle recensioni e vorrebbe leggere anche qualche bel rendiconto. Sono quei fogli che le case editrici mandano una volta all’anno per comunicare il numero di copie vendute. Di solito ne risulta che in magazzino ce ne sono ancora tante e che i diritti d’autore bisogna scordarseli. È una lettura malinconica per chiunque, figuriamoci per chi mena vita dispendiosa.
Aurelio Picca viaggia in Jaguar, colleziona anelli, veste Christian Dior, scende solo in grandi alberghi e giustamente ha scritto un giallo. Si intitola «Via Volta della Morte», esce da Rizzoli il 5 aprile, ed è un libro pensato per intercettare il pubblico pigro a cui è sfuggito Sacrocuore, uno dei migliori romanzi italiani degli ultimi anni.
Gli ingredienti della ricetta tradizionale ci sono tutti: un duplice misterioso delitto, una piccola città di provincia, un commissario dal cognome siculo, Macrì. Se fosse scritto in italo-siciliano potrebbe essere l’inizio di un libro di Camilleri, siccome è in italiano potrebbe essere un Lucarelli. Ma purtroppo e per fortuna (purtroppo per l’autore e per fortuna del lettore) le somiglianze coi giallisti seriali di successo finiscono presto. Lo stile non è acqua, puoi impegnarti allo stremo per nasconderlo ma prima o poi rispunta fuori. Il Picca sgradevole, il Picca dandy e guappo dei Castelli Romani, il Picca insopportabile che tanto amiamo, non ce la fa a starsene buono e a pagina 23 si scatena: «A Urbino il caffè è una schifezza, è merda mischiata». Da quel punto in avanti la cittadina universitaria marchigiana viene precipitata in un abisso di perdizione morale e materiale, fra antichi satanismi e orge contemporanee, immaginata come nido di vipere (la Vipera Professore, la Vipera Studente, la Vipera Affittacamere...) che schiumano veleno e si mordono a vicenda fino a dissanguarsi. Il colpevole è avvolto nel mistero ma una certezza comincia a farsi strada: a Picca non daranno mai la cittadinanza onoraria. Sarebbe bello che a Urbino organizzassero una presentazione del libro e sarebbe bellissimo essere lì quando all’autore verrà chiesto conto di frasi come questa: «Urbino è bella solo fuori, perché nella pancia è marcia. L’hanno svuotata. Anzi, l’hanno riempita di canaglie. Gli urbinati hanno abbattuto le loro mura domestiche per ricostruirci dentro tuguri per gli studenti dell’università».
È un giallo ma quando per qualche pagina il maledetto commissario lucarelloide viene messo a riposo diventa un feroce atto di accusa contro l’università di massa, contro il fuorisedismo e il fuoricorsismo che affliggono tanta parte delle giovani generazioni. «All’interno dei collegi gli studenti erano in balia dei loro libertinaggi» sembra una frase di Tom Wolfe in Io sono Charlotte Simmons e questo capitolo del libro potrebbe intitolarsi «Picca contro De Carlo». No, non c’entra la rivalità letteraria. Picca non se la prende con Andrea lo scrittore, che a Urbino abita, ma con suo padre Giancarlo, l’architetto, che a Urbino ha costruito i famosi o famigerati collegi, utopie destinate a trasformarsi in incubo: «Anche la provenienza degli ospiti era cambiata. Se negli anni Settanta e Ottanta i fuori sede provenivano da ogni regione, ora per lo più gli studenti erano molisani, pugliesi, siciliani, campani. E erano sempre più poveri». Siccome Picca è un generoso, non risparmia di cattive parole nemmeno la vicina riviera romagnola, dipinta con colori lividi che ricordano Rimini di Tondelli. Spinge le sue visioni fino a Matera, luogo di origine di uno dei personaggi, definendo la gravina «una vulva mostruosa». Poi ritorna in fretta verso Urbino a bordo di una Maserati (i libri di Picca sono come la sua vita, pieni di auto sportive), si inerpica su per la collina e si infila nel dedalo nel centro. Via Volta della Morte, il luogo del delitto, esiste davvero, e lo si capisce nelle pagine in cui il libro prende la forma di un trattato di toponomastica urbinate, che è piena di sorprese: via Giro dei Debitori, via dei Morti, via Balcone della Vita... Viene voglia di fare un salto in loco per verificare le visioni più eccitanti di questo giallo psichedelico. I torricini del Palazzo Ducale, ad esempio, visti dal basso sembrano davvero «due sottilissime gambe di cubiste»? Bisogna andarci il giovedì sera, il giorno in cui a Urbino finiscono le lezioni e la settimana, e gli studenti si scatenano (ma anche molti professori, pare). Nella descrizione di queste ore convulse, brulicanti di vita tossica e alcolica, Picca dimentica le ultime inibizioni e lascia parlare il maschio eroico che è in lui: «In giro c’è una ciurma di fighette largarmente sverginate o possedute male. Si respira un’atmosfera da piccolo, sciatto, cinico, mestruato carnevale appenninico».

Queste cose Lucarelli non le scriverebbe mai, anzi, non le penserebbe nemmeno, e infatti Lucarelli sta mettendo su pancia in Rai mentre Picca, da qualche parte in Italia, continua a spingere sull’acceleratore del suo Jaguar e delle sue visioni.

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