Mario Sechi
da Roma
Le prime scosse telluriche serano udite quando le primarie dellUnione annunciarono urbi et orbi che sì, Prodi era il leader, ma la macchina del centralismo democratico (seppur revisionata) era ormai da rottamare. Nel giubilo generale, furono in pochi a capire che quel bagno di democrazia diretta non solo lasciava irrisolti i problemi della coalizione del centrosinistra, ma mandava in tilt anche la sala di controllo dei partiti tradizionali.
In quei giorni tiepidi dellottobrata romana nessuno pensava che una serie di eventi si sarebbero intrecciati a tal punto da diventare uninsidiosa ragnatela. Il caso Unipol-Bnl appariva come una schermaglia, una guerra di posizione in cui i Ds alla fine avrebbero fatto valere la loro politica di potenza sulla riottosa Margherita. Nessuno al Botteghino sapeva che dallaltra parte del filo cera qualcuno che ascoltava e che lamico Consorte era sì un esperto della cooperazione, ma si occupava anche di plusvalenze. Cose che capitano ai compagni che sbagliano. Il problema è che queste e altre cose hanno innescato un risiko che mira a ridisegnare la geografia politica del centrosinistra e non solo.
Oggi il sismografo dellUnione toccherà un altro picco quando Paolo Mieli ed Ezio Mauro (il primo nei panni del Maestro, il secondo in questo caso ancora in quelli dellApprendista) officeranno messa a un convegno dal titolo apparentemente innocuo: «Dalle primarie al partito democratico». Presenti tutti i big dellUnione, da Prodi a Fassino, passando per Rutelli, Parisi e quellAmato in attesa di esser folgorato sulla via del Quirinale.
«Dalle primarie», appunto. Dal momento in cui Francesco bello guaglione (copyright di Romano Prodi) spiazzò tutti e annunciò a gazebo chiusi che il centrosinistra aveva bisogno di «un nuovo soggetto politico, il partito democratico». Che cosè? si chiesero nella Quercia. Cosa vorrà Rutelli che ha già le sue gatte da pelare? La reazione del Botteghino fu glaciale, qualcuno pensò al classico «trappolone». E forse non sbagliava a pensar male visto che tra «le primarie» e «il partito democratico» è successo qualcosa.
Il 30 novembre scorso Carlo De Benedetti, editore di Repubblica, durante un altro convegno dal titolo apparentemente innocuo («Idee per il partito democratico») lanciava lalternativa al Professore di Bologna e promuoveva lasse Rutelli-Veltroni. Quella dellIngegnere era una vera e propria investitura per i due affascinanti cinquantenni e nello stesso tempo una bocciatura di unaltra coppia di cinquantenni che De Benedetti si guardava bene dal citare come guida per il futuro: Piero Fassino e Massimo DAlema. I due, va bene, sono tuttaltro che affascinanti, ma sono pur sempre il segretario e il presidente dei Ds, il partito più importante del centrosinistra. Lamnesia dellIngegnere non sfuggì a un attento lettore delle carte geografiche politiche, Paolo Mieli. Il direttore del Corriere della Sera andava sotto rete e cercava di colpire in volée: il 2 dicembre sulle colonne di via Solferino De Benedetti diventò ancor più esplicito: «Prodi è lamministratore straordinario del condominio», ma «il futuro è di Rutelli e Veltroni».
Mieli e De Benedetti sembrano giocare a memoria un doppio che fa mancare la palla a Prodi e costringe i Ds ad annaspare a fondo campo. Allorizzonte, cè il «grande slam»: il partito democratico di cui lIngegner Carlo De Benedetti rivendica «la tessera numero 1». Quel soggetto politico lanciato con nonchalance da Rutelli dopo le primarie, ora, con gli scandali finanziari che rischiano di terremotare la Quercia, si fa più realistico. Il Botteghino è debole, la dirigenza è sotto schiaffo (giudiziario), fassiniani e dalemiani sono impegnati in una guerra fratricida e quelli che vengono chiamati «poteri forti» aspettano sulla sponda del fiume. La prossima mossa? Eccola: sarà Paolo Mieli oggi a far avanzare il pedone sulla scacchiera. E gli altri, di complemento, seguiranno la strategia di gioco che ieri il direttore del Corriere della Sera ha delineato chiaramente nel suo editoriale. No, «leffetto combinato di banche pulite e dei fantomatici poteri forti» non cè, ma se non siamo a una nuova tangentopoli e «la storia non si ripete», si profila la nascita «di formazioni unitarie di profilo europeo, in grado di raccogliere, ognuna, più del 35 per cento». Tutto ciò è meglio che accada «in uno o due anni, non di più» e «sarebbe una salutare novità (...) anche perché diluirebbe (si spera) in un contenitore più capiente lanomalia berlusconiana da una parte e dallaltra alcune evidenti degenerazioni dei collateralismi». Un programma politico in piena regola, quello dettato in prima pagina da Mieli.
I promotori del convegno si schermiscono, ma non nascondono che «alcune cose concrete verranno dette». Concrete e pure sonanti: «Una casa comune non può esistere senza una cassa comune» e poi è ora che «si facciano gruppi unitari alla Camera e al Senato». E i Ds nel pieno del polverone giudiziario? «Nessuno chiederà a nessuno di sciogliersi».
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