«Tutto sbagliato, tutto da rifare» ha detto Chan Tit-Kwan, rinomato master feng shui di Hong Kong, entrando nell'ufficio che Riccardo Braccialini, presidente dell'azienda fondata dalla madre Carla negli anni Cinquanta, ha appena finito di arredare dentro la nuova sede di Scandicci.
«Devo solo spostar due mobili» dice il giovane manager mentre i fratelli Massimo (responsabile dello stile) e Lorenzo (direttore marketing) lo prendono garbatamente in giro. È stato infatti lui a lanciare l'idea di chiamare un esperto nell'antica arte geomantica taoista nota come Feng (aria) Shui (acqua) per armonizzare le energie dello stabilimento in costruzione.
«Riccardo è stato in Giappone 130 volte, sa tutto di queste cose orientali» spiega Carla Braccialini dicendosi felicissima perché il master ha approvato i fondamentali: l'orientamento dell'edificio, il giardino verticale che riduce l'inquinamento acustico fino a 18 decibel oltre a trasformare la facciata dello stabilimento in una spettacolare spalliera di edera alta due piani, l'impianto fotovoltaico che garantisce il risparmio energetico e tutti i colori utilizzati tranne il rosso della reception.
«Ci ha spiegato che quest'anno sarebbe stato meglio l'argento e poi vuole una fontana che spinga l'acqua verso la fabbrica» conclude la formidabile signora recentemente nominata Cavaliere del lavoro. Inevitabile a questo punto chiedere cosa si aspettano i Braccialini dal feng shui visto che gli affari nonostante la crisi vanno piuttosto bene e negli ultimi 10 anni loro sono passati da 5 a 70 milioni di fatturato annuo mettendo anche a segno dei notevoli «colpi» tipo comprare e rilanciare il marchio Gherardini per non parlare del progetto Amazon Life con cui hanno sottratto ad Hermes l'esclusiva mondiale per l'utilizzo di uno speciale caucciù perfetto per fare borse e valige eco-chic oltre che equo-solidali perché l'estrazione della materia prima dagli alberi garantisce la sopravvivenza a 200 famiglie d'indigeni in Amazzonia. Tutti insieme appassionatamente i Braccialini rispondono che per un industriale fare una nuova fabbrica è comunque motivo d'orgoglio, nel loro caso, inoltre, era una vera e propria necessità: avevano 16 capannoni sparsi in un'area di trenta chilometri e oltre a voler mettere a punto la logistica, dovevano accorpare tutto per varare un esperimento di tracciabilità della merce studiato dalla facoltà d'informatica dell'università di Firenze.
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