Marco Morello
L’Ater romana non smette mai di sorprendere: il consiglio d’amministrazione dell’azienda ha stabilito, di punto in bianco, di ignorare una delibera della Giunta regionale. È quanto denuncia il consigliere Massimiliano Maselli (Udc) tramite un’interrogazione presentata al presidente Marrazzo e all’assessore ai Lavori pubblici e alla politica della casa.
Nel 2004, con la delibera 571, la Regione Lazio aveva deciso di concedere agli assegnatari in età avanzata, con gravi patologie o che avevano già versato somme a titolo di caparra all’atto della domanda d’acquisto, la possibilità di comprare l’immobile in cui vivevano e intestarlo anche a un figlio non residente. La manovra ubbidiva agli intenti che avevano portato a trasformare l’Istituto autonomo case popolari nell’Ater: alienare il patrimonio a disposizione e, con il denaro ricavato, provvedere a costruire nuovi alloggi. Viste le condizioni più flessibili, in molti si sono sentiti motivati ad acquistare la casa in cui vivevano: hanno versato più di 500 euro per istruire la pratica e, ricevuto l’ok, si sono attivati per richiedere un finanziamento e reperire la somma dovuta. All’improvviso il nuovo cda della Capitale ha deciso di sospenderne l’applicazione, nonostante la delibera sia rimasta pienamente operante altrove e abbia già prodotto effetti amministrativi. «Si tratta di un fatto gravissimo - commenta Dino Gasperini, capogruppo dell’Udc al Comune - che crea una chiara situazione di disparità di trattamento sia nel Lazio che all’interno della città stessa». L’acquisto degli immobili a quelle condizioni, infatti, è ancora possibile a Rieti, a Viterbo, a Latina e a Frosinone. «A Roma - continua Gasperini - non è più così, o meglio non lo è per gli appartamenti dell’Ater. Per quelli che sono amministrati dal Campidoglio, invece, nessun problema». Occorre precisare: le case popolari sono gestite in parte dell’azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica, in parte sono di proprietà del Comune, che ha deciso di cedere 24mila alloggi, adeguandosi allo schema contenuto nella 571/2004. L’Ater, invece, con la delibera n. 2/9, quasi imitando la Corte Costituzionale, ha «ravvisato che la disposizione presenta aspetti problematici applicativi ed interpretativi», e ha deciso di ignorarla in attesa di una pronuncia degli organi regionali. «Si tratta di un’anomalia evidente - conclude Dino Gasperini - l’Ater è un soggetto pubblico e come tale deve uniformarsi alle norme vincolanti che regolano il settore. Lascia ancora più perplessi il fatto che abbia deciso di non osservarle soltanto quella della Capitale».
Le ragioni di una scelta in questo senso appaiono oscure, ancora di più se si pensa che nell’«Operazione verità» di inizio luglio l’azienda aveva manifestato l’intenzione di ripianare gli enormi buchi nel suo bilancio anche tramite la vendita degli immobili. «La sospensione attuata dall’Ater - si legge nel testo dell’interrogazione presentata da Massimo Maselli - costituisce un grave atto di carattere arbitrario, una condotta gravemente lesiva degli intestatari aventi diritto. L’azienda, al di là di suggerimenti, dubbi e riserve che può esprimere nei confronti dell’autorità regionale sulla legittimità o efficacia del provvedimento non può autoritativamente svincolarsi dallo stesso. Solo un atto di pari o maggior forza vincolante può decretare l’inefficacia di un atto equivalente o subordinato».
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