Era lultima. Lunica squadra di calcio professionistico che nel petto lasciava battere un cuore libero da marchi e sul petto sfoggiava una maglia intonsa. È lAthletic Bilbao, emblema di un calcio antico, di valori e appartenenza. Il calcio prima delle pay-tv e del merchandising. Presto, però, la casacca rojiblanca potrebbe perdere la sua verginità sotto la marea nera della Petronor, la compagnia petrolifera basca di proprietà della Repsol, che dovrebbe diventare il primo sponsor in 110 anni di storia del club.
Non aveva resistito neppure il Barcellona, che ha scelto lUnicef come sponsor (e che anni porta sulla manica il loghino di Tv3). Invece i tifosi bilbaini tenevano duro. A costo di sfiduciare due presidenti, di scendere in piazza Moyua, di affiggere per tutta Bilbao manifesti «Kamisetetan publizitaterik EZ!» («No alla pubblicità sulle magliette», in lingua euskera). Lunica concessione lavevano fatta per amor di patria, quando il presidente Lamikiz schierò la squadra con la scritta «Euskadi» per incentivare il turismo nel Paese Basco, lEuskal Herria che nel golfo di Biscaglia è ragione di vita e di terrore. Davanti allIkurrina, la bandiera locale, ci si era inchinati.
Ma davanti ai due milioni di euro allanno, la tifoseria non si inchina. E reagisce. Sui blog, sui siti. Si organizzano proteste, si cerca di bloccare la ratifica della decisione presa dal presidente Macua. I costi che crescono, la squadra che da anni si salva a malapena, il deficit che si allarga. La sensazione è che stavolta il mito crollerà. Per la gioia di chi propugna il progresso, linternazionalismo, lo show.
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