L’attacco finale al sistema dei partiti

L’attacco finale al sistema dei partiti

La nascita del Partito della libertà ha riproposto la differenza tra il carisma di Berlusconi e Forza Italia come partito.
Nessuno pensava, certamente non tra gli alleati, ma anche dentro Forza Italia, che Berlusconi vincesse le elezioni mostrando che, quasi da solo, rappresentava metà Paese. E le vinceva parlando un linguaggio estremo, anticomunista, che non era il linguaggio comune in Forza Italia. E certamente era condannato sia da An che dall’Udc e nemmeno parlato dalla Lega.
Con l’aiuto di Giulio Tremonti, Berlusconi centrò la questione fiscale come la chiave del problema e mostrò che egli rappresentava nel Paese più che un’avventura contingente, un principio politico: quello del superamento della partitocrazia in un regime fondato su equilibri interamente istituzionali.
Questa fu la costituzione promossa dalla Casa delle Libertà in cui veniva stabilito il principio della connessione diretta del voto con la designazione del presidente del Consiglio. Una democrazia compiuta come in tutti gli altri Paesi occidentali. Mentre in questi Paesi era espressa dal bipartitismo politico, con un partito conservatore e uno socialista, in Italia la fine della Dc e del Psi avevano distrutto la possibilità interna al sistema dei partiti. E così la Casa delle libertà promosse una costituzione fondata sull’elezione diretta del presidente del Consiglio dal corpo elettorale.
Vi erano molti difetti in quella costituzione, che è stata poi abbandonata alle ortiche anche dal centrodestra, ma aveva rivelato due diversi elettorati. Uno che contava direttamente sul controllo delle istituzioni con il voto elettorale, l’altro che riteneva necessaria la mediazione dei partiti. La prima scelta, quella di Berlusconi, era europea e occidentale, tendeva a rimuovere l’eccezione italiana, in cui i partiti antifascisti erano stati concepiti come egemoni sulle istituzioni al posto del partito fascista. Vi sono questioni come la legalità, l’immigrazione e il fisco, che invadono il dibattito politico, ma essi a destra sono tutti tesi a risolvere in modo diretto i rapporti tra cittadino e Stato, garantendo sicurezza e legalità.
La forza del centrodestra non sta nella sua cultura, che non è riuscita a motivare un linguaggio che gli renda giustizia, sta invece in un popolo che mantiene quella richiesta del rapporto diretto tra cittadino e Stato e chiede risposte allo Stato ai temi che riguardano la sua sicurezza e la sua libertà.
Berlusconi ha espresso con la sua persona questa domanda che infine gli chiedeva non di guidare un partito, ma di dirigere un governo. Questa domanda finiva per contrastare l’esistenza partitica degli alleati che si vedevano inclusi nella domanda «Berlusconi for president».
E Berlusconi accentuando la polemica con la sinistra, oltre il linguaggio politicamente corretto, impersonava questo popolo. E lui, non Forza Italia, non la Casa delle libertà. Ciò che è nato a sinistra è invece l’esaltazione della partitocrazia fino a creare attorno alla molteplicità dei partiti della Prima Repubblica un raddoppiamento virtuale dei medesimi nel Partito democratico; un caso perfetto di «second life». Ciò unito al linguaggio di estrema sinistra che condiziona il governo, ha fatto crescere molto nel Paese le differenze di principio tra lo Stato dei cittadini e lo Stato dei partiti, creando così un caso unico nella nostra storia.


Berlusconi ha ottenuto il risultato di aumentare la convergenza degli alleati proprio con il timore che essi hanno avuto di perdere il suo volto che è la base del loro consenso politico.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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