L’autunno di Leoluca

E adesso chi glielo racconta a Leoluca Orlando? Chi glielo spiega che il centrosinistra l’ha già mollato? Chi glielo dice che Romano Prodi ha preso le distanze perché «il voto siciliano è un test locale», chi glielo riferisce che persino l’Italia dei Valori, il suo partito, l’ha scaricato? Chi avrà il fegato di chiamarlo al telefono? «Leoluca, è arrivato l’autunno perché la primavera non può fiorire due volte». Chi avrà voglia di pettinargli ancora il leggendario ciuffo ribelle?
Lui a Palermo ancora grida, protesta, denuncia «pesanti brogli elettorali». Chiama addirittura Giuliano Amato e gli chiede di annullare il voto, ottenendo per ora solo un imbarazzato silenzio. Ma da Praga il premier si è già fatto due conti: «Il risultato per l’Unione non sembra negativo, Cammarata partiva da una certa superiorità». Dalla Farnesina Massimo D’Alema gli ha fatto il vestitino: «È andato meglio del previsto. Ora non so che fine faranno alcune sue osservazioni...». E dal Parlamento Massimo Donati, capogruppo dipietrista, prepara la sua lapide politica: «Orlando ha fatto una cosa straordinaria, è riuscito ad incrinare l’impero della Cdl nell’isola».
Leoluca dunque è solo. Furioso e solo, all’ultima curva del lunghissimo gran premio, all’ultimo saliscendi delle sue personalissime montagne russe. Altare e polvere, trionfi e disfatte. Una vita così, in altalena eccessiva, come un sismografo impazzito. Ha cominciato presto. Aveva poco più di trent’anni, nel 1978, quando è entrato nella squadra del presidente della Regione Piersanti Mattarella come consigliere giuridico. Due anni dopo entrò nel consiglio comunale. Democristiano di sinistra, era uno dei giovani più promettenti dello scudo crociato all’epoca del rinnovamento di Ciriaco De Mita. Fu eletto sindaco per la prima volta il 16 luglio 1985. Il suo mandato s’intrecciò con i grandi processi antimafia. Diventò un personaggio e la sua primavera palermitana finì pure sui giornali americani.
Cercò di crescere, fondando la Rete, un movimento sostanzialmente giustizialista, che infatti si proponeva di offrire «una sponda» alla politica contro il malaffare. Nel 1992 diventò deputato ma un anno dopo lasciò il Parlamento per rimettersi in corsa per Palazzo delle Aquile: fu eletto al primo turno, con 293mila preferenze e il 72 per cento dei voti. Nel ’94 il salto in Europa. Nel ’97 diventò ancora sindaco di Palermo: durò tre anni. Nel ’99 entrò nei Democratici con Prodi e Rutelli.


Nel 2001 la prima sconfitta: lasciato il Comune per candidarsi alla presidenza della Regione, conquistò un milione di voti ma venne comunque battuto da Totò Cuffaro. E adesso la seconda mazzata, forse definitiva. A consolarlo restano solo Cammarata e Cuffaro: «Leoluca accetta la sconfitta, se non vuoi diventare patetico».
Massimiliano Scafi

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