Nica Fiori
LAventino è, fra i sette colli di Roma, quello dallatmosfera più mistica, probabilmente perché fin dall'antichità ha mostrato una sorta di vocazione religiosa, dai culti arcaici al mitraismo, al primo cristianesimo. È allo stesso tempo quello archeologicamente meno conosciuto. Quel poco che si è conservato sotto le chiese e i conventi è difficilmente documentabile, al punto che quasi nessuno dei monumenti elencati nei Cataloghi Regionari del IV sec. d.C. è stato identificato con certezza e perfino il celebre tempio di Diana Aventinese ha finora totalmente eluso le ricerche degli studiosi.
Proprio il tempio di Diana sarà al centro del dibattito di archeologi e topografi che si incontreranno oggi alle ore 16 presso lIstituto Nazionale di Studi Romani (piazza dei Cavalieri di Malta, 2) per un pomeriggio di studio dal titolo «Per una rivisitazione archeologica dellantico Aventino» (ingresso libero).
Tra i frammenti della Forma urbis (lantica mappa di età Severiana ritrovata nel tempio della Pace) ve ne sono alcuni relativi allAventino che, a seconda di come vengono disposti, cadono su punti differenti della città, rendendo difficile la collocazione di monumenti come il tempio di Minerva e quello di Diana. Ma, proprio dallo studio di questi frammenti, oltre che della particolare configurazione orografica del colle e di alcuni ritrovamenti dellOttocento, Laura Vendittelli ritiene che i resti di questi templi possano celarsi nei giardini dellIstituto di Studi Romani, un tempo appartenenti al convento di S. Alessio. Certo occorrerebbero degli scavi sistematici per poter verificare la sua ipotesi.
Alessandra Capodiferro illustrerà i restauri in corso nel mitreo sotto la Basilica di Santa Prisca, che hanno messo in luce fasi precedenti rispetto a quelle ipotizzate finora, in particolare una fase di età giulio-claudia. Un altro intervento interessante riguarda la domus di largo Arrigo VII.
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