L’azzardo del Pd: inghiottire Grillo

Scegliendo di presentare liste da lui autorizzate alle amministrative, Grillo ha attenuato il carattere radicale della sua politica. Dopo tanto clamore, ha creato un partito di cui è il leader assoluto. Se avesse invece proclamato la via dell’astensione dal voto, avrebbe creato una tensione insostenibile nell’elettorato italiano in cui il non voto è già un’espressione politica.
La sinistra ha immediatamente fatto il possibile per includere Grillo sulla base della tesi tradizionale dei comunisti, quella di non avere nemici a sinistra, ma di assorbirli in qualche forma nello schieramento. Ma ciò non toglie che l’astensione a sinistra divenga più di una possibilità, soprattutto quando nascerà il Partito democratico. Il Partito democratico è infatti un’operazione politica che tende a fare di esso il partito della legittimità istituzionale, non più mediante la figura ideologica ma proprio come controllo del potere.
Lo scopo del Partito democratico è di eliminare la storia della Repubblica dal '94 in poi e di delegittimare le forze che ne sono state protagoniste. Il fine centrale è quello di avere un potere senza reali alternative. Questo è vagamente avvertito anche nel popolo della sinistra, che vede venir meno la narrazione che il Pci ha reso canonica nella cultura politica italiana. La sinistra avverte di perdere non solo l’identità rivoluzionaria, ma anche la sua storia democratica perché nasca una forza politica identificata nella sua classe dirigente che ha solo nel suo potere indiscusso la chiave della legittimità.
Lo scopo del governo Prodi è quello di disaggregare il consenso raccolto da Berlusconi nel Paese e di dividere le forze politiche che compongono l’alleanza di destra. Infine il disegno di Martinazzoli e Occhetto che si era proposto nel '94 e che, grazie all’intervento di Berlusconi, venne sconfitto.
In un certo senso il Partito democratico è solo uno specchietto per le allodole, il modo di dirsi altra cosa di quello che si è. Ma il punto è lo stesso del '94: l’unità tra postcomunisti e democristiani di sinistra, l’alleanza minoritaria nella prima Repubblica ma che infine si è compiuta alla fine della seconda. Finché vissero, prima del '92, i comunisti e i democristiani erano grandi narrazioni politiche che fornivano, con l’affermazione della loro identità, un linguaggio diverso dalle varie componenti della maggioranza di governo, in cui figura decisiva era allora il Psi.
Oggi il governo Prodi non offre alcun messaggio, se non quello fiscale. La sua ideologia è quella di delegittimare il popolo italiano come popolo di evasori. I vari tesoretti che gli si trovano nelle mani sono la prova evidente della falsità del suo asserto. Ma è chiaro che il governo Prodi si pone come un governo non del popolo, ma sopra di esso: per riformarne i costumi. Si sente qui il filone dossettiano che critica il partito cristiano come partito borghese e si propone di unire in un disegno di forma etica cattolici e comunisti. La proclamazione etica contro un popolo immorale è la legittimazione ideologica del governo Prodi che fonda il suo titolo di legittimità sulla sua qualità morale e non sul suo consenso. È la sua morale politica a legittimarlo, non i voti che ha ricevuto. La scarsità della maggioranza con cui ha vinto le elezioni è per lui irrilevante perché il governo non si fonda su di essa ma sulla sua mission che è oltre il popolo e oltre il consenso. Questo è così visibile in Prodi che la sinistra stessa avverte il rischio antipopolare e antidemocratico che il suo messaggio comporta e in cui essa non si riconosce. Ma intende usarlo fino in fondo per riuscire a eliminare la spinta democratica del popolo italiano scomponendo ed eliminando il centrodestra come alternativa politica. L’occupazione della Rai è un piccolo segno della volontà di dominio sul sistema che ha espresso il governo Prodi. La direttiva fondamentale è quella di colpire Berlusconi non solo negli interessi economici, ma nella sua stessa immagine politica di forza, mostrando che lo si può colpire impunemente nel suo potere economico che era stato l’identità su cui egli si era inserito come immagine. È possibile questo disegno? In realtà la divisione tra la sinistra e la destra non è un frutto del bipolarismo, è un frutto della globalizzazione che ha reso determinante nel Paese il sistema delle piccole e medie industrie e l’economia privata, togliendo il supporto ideologico all’economia di Stato.

Vi è un sistema di interessi legato alla libertà anche economica che in Italia prima della globalizzazione non esisteva, ha cambiato la società italiana e ha dato un supporto al privato prima schiacciato dalla giustificazione del pubblico poi veramente sociale.
Viviamo una forma singolare di crisi della democrazia che non ha precedenti e deve essere affrontata con la fermezza con cui lo si è fatto finora.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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