Labilità di un finanziere come Carlo De Benedetti si coglie da mille particolari. I soldi. La rete di relazioni. Il cinismo. La capacità di lasciare una poltrona al momento giusto e con sostanziose liquidazioni. La forza di ripartire dopo un rovescio. E anche la fortuna di uscire sempre immacolato dalle vicende giudiziarie in cui finisce coinvolto.
Sarà una coincidenza, una combinazione singolare, una concomitanza casuale; sarà semplicemente che limprenditore che si è sempre proclamato «diverso» dai colleghi non aveva commesso quanto gli era stato addebitato. Ma il tarlo di un maligno interrogativo resta: essere leditore più giustizialista dItalia, difendere a oltranza i magistrati che indagano su Silvio Berlusconi, è unassicurazione sulla vita?
Il caso più lontano nel tempo è quello del Banco Ambrosiano, tempio della P2.
iamo negli Anni 80: De Benedetti entrò nellistituto di credito con il 2 per cento del capitale e la carica di vicepresidente (il numero uno era Roberto Calvi) e ne uscì 65 giorni dopo, alla vigilia del crac, intascando una plusvalenza di 40 miliardi di lire. Fu accusato di concorso in bancarotta fraudolenta ed ebbe una condanna a 6 anni e 4 mesi di reclusione in primo grado, ridotta in appello a 4 anni e 6 mesi, e annullata senza rinvio dalla Cassazione.
Nei primi Anni 90 De Benedetti e altri sette manager furono assolti dallaccusa di elusione fiscale: il pm aveva chiesto per il presidente Olivetti la condanna a due anni e quattro mesi di reclusione e al pagamento di 15 milioni di multa per una presunta evasione di complessivi 37 miliardi di lire. Il sofisticato meccanismo si chiamava «dividend stripping» e consentiva, a certe condizioni, di usare i dividendi azionari come credito dimposta. Inoltre, come ricordano Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio in «Mani sporche», De Benedetti «ha chiuso con due oblazioni da 50 milioni di lire ciascuna altrettanti processi per le manovre in Borsa sui titoli Olivetti (insider trading) e per i bilanci del gruppo di Ivrea (false comunicazioni sociali)». Sentenza, questultima, revocata dopo la riforma del falso in bilancio voluta dal governo Berlusconi nel 2002.
Ma la vicenda più clamorosa fu il coinvolgimento di De Benedetti in Tangentopoli dopo larresto del direttore generale delle Poste, Giuseppe Parrella, e del suo segretario Giuseppe Lo Moro, il quale parlò di mazzette ricevute dalla Olivetti per la fornitura di telescriventi al ministero. Era il 1993, qualche anno dopo la battaglia per il controllo di Segrate sfociata nella sentenza di ieri. In maggio il finanziere anticipò i pubblici ministeri consegnando ad Antonio Di Pietro una memoria in cui ammetteva vari giri di tangenti perché «vittima del sistema»: in particolare oltre 10 miliardi di lire a Dc e Psi per lappalto postale.
A novembre fu emesso un mandato di cattura a suo carico. De Benedetti si costituì, fu trasferito al carcere di Regina Coeli, interrogato nella notte dal pm Maria Cordova e dal gip Augusta Iannini, ottenendo gli arresti domiciliari e quindi la scarcerazione.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.