Adesso fermiamoci un attimo. E cerchiamo di ragionare, mentre là fuori cè un gran trambusto. La fenomenologia di una crisi spesso assume dimensioni che travalicano la realtà, complici anche i nostri tam tam mediatici. Qualcuno si ricorda forse della mucca pazza? Del conseguente bando allamata fiorentina sul presupposto, poi rivelatosi falso, di un contagio collettivo dalla bestia alluomo? E laviaria? LOrganizzazione mondiale della sanità (in pratica il Fondo monetario della salute) annunciava 150mila morti solo in Italia. La pandemia. Neanche un caso. Le crisi, sanitarie come quelle finanziarie, hanno una caratteristica comune. Quando sorgono appaiono apocalittiche: la fine dei carnivori e dei capitalisti. Inoltre generano comportamenti isterici, irrazionali: al bando i polletti italiani, quattrini sotto al materasso.
Detto questo, la débâcle delle Borse fa male davvero ai risparmiatori. Non è una balla. Ma a differenza di un virus, il mercato è il prodotto delluomo: è linterazione straordinaria e libera dei comportamenti e degli interessi istantanei di miliardi di individui. Friedrich von Hayek lo chiamava la «catallassi»: dal greco «scambiare», ma anche «ammettere nella comunità». A differenza delle altre crisi, sono dunque i nostri comportamenti, quelli della nostra comunità, che «fanno il mercato». Ecco perché il panico finanziario rischia di autoavverarsi, nonostante sia nato da unesagerazione. Un esempio drammatico nella sua semplicità è quello dei depositi bancari. Se gli italiani dovessero in massa ritirare i propri quattrini dalle banche e metterli sotto il materasso, eccessivamente spaventati dalla situazione, metterebbero davvero in difficoltà le banche. Il comportamento dei risparmiatori sarebbe autolesionista e creerebbe per questa via una crisi vera su basi fragili.
Cè da ultimo un rischio più sottile. Drammatizzare una crisi finanziaria rischia di generare risposte altrettanto eccessive da parte della politica.
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